Si stava correndo la maratona di Boston, la più antica delle maratone non olimpiche, corsa per la prima volta nel 1897, un anno dopo la prima maratona olimpica dell’era moderna corsa ad Atene nel 1896. Erano le 14.49 del 2013, ora locale, in Italia le 20.49. Immediatamente una delle più grandi feste sportive, una delle più prestigiose maratone assieme a Londra, New York, Berlino, s’è trasformata in tragedia.
Una bomba è esplosa vicino al traguardo, una seconda 170 metri più lontano 12 secondi dopo. Gli orari sono certi, perché sono stati fissati, loro malgrado dai cronometri dei giudici di gara: la corsa era partita da 4 ore 12 minuti e 43 secondi al momento della prima esplosione, ed era (ed è) una di quelle corse cui si iscrivono migliaia di persone da tutto il mondo, professionisti, dilettanti, amatori.
Le indagini hanno poi rivelato che si è trattato di bombe rudimentali: due pentole a pressione, imbottite di esplosivo e chiodi, per ferire di più e meglio, nascoste dentro zainetti e camuffate dentro i bidoni della spazzatura. Hanno colpito nel segno. Sono morte tre persone: Krystle Campbell, 29 anni; Zhou Danling, studentessa della Boston University di origine cinese, 20 anni e Martin Richard, un bambino di otto anni. Stavano guardando la gara dietro le transenne vicino al traguardo. Con loro sono rimaste ferite, molte gravemente subendo amputazioni, oltre 260 persone.
I responsabili dell’attentato, - in sequito ricondotto a un movente di radicalizzazione islamica che aveva determinato l’azione di due lupi solitari senza collegamenti diretti con organizzazioni terroristiche, - furono identificati dall’Fbi in pochi giorni, le loro identità, comprese le foto, vennero diffuse attraverso i media. Si trattava di due fratelli di origine cecena, Tamerlan, 26 anni, e Dzhokhar Tsarnaev, 20, i due fuggendo avevano ucciso in uno scontro a fuoco un agente di polizia. In seguito anche il più anziano dei due attentatori è morto in un conflitto a fuoco con gli agenti, Dzhokhar, gravemente ferito nello stesso scontro è stato rintracciato in poche ore e arrestato.
Nel 2015 Dzhokhar Tsarnaev è stato condannato a morte dalla giuria della Corte federale di Boston. Nel dicembre scorso i suoi avvocati hanno presentato appello chiedendo che la sua pena venga convertita in ergastolo.
In seguito a quell’attentato, uno dei più gravi episodi violenti nella storia dello sport, Boston, capitale del Massachusset, ha scelto di non fare passi indietro: la corsa si è disputata già l’anno successivo, in un imponente sistema di sicurezza, ma con la determinazione a non darla vinta alla paura: da allora il 14 aprile è il giorno in cui si celebra l’One Boston day, in cui il ricordo si mescola all’impegno all’insegna delle iniziative sociali. Anche per questo da allora l’anima della città si identifica nello slogan “strong Boston”, “forte Boston”, simbolo della sua voglia di non piegarsi al terrore.