Dedicata a Dante, come altrimenti non si sarebbe potuto fare nel 2021 settimo centenario della morte del Sommo Poeta, si celebra fino al 24 ottobre la settimana della lingua italiana nel mondo. Gli spunti che arrivano dagli anniversari, dalla cronaca e pure dagli strafalcioni della politica rendono il tema della lingua sempre caldo. Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, nonché storico autore della rubrica Parlare e scrivere di Famiglia Cristiana, sta al gioco di diagnosticare lo stato di salute dell’italiano nel mondo.
Professore ci dica, l’italiano nel mondo come sta?
«Direi stazionario, più o meno come un anno fa. Con alti e bassi. Ma devo dire che una spinta internazionale importante per l’italiano viene sicuramente dall’uso che ne viene fatto dalla curia pontificia e dai papi. Il fatto che un papa argentino, come Francesco, tenga all’estero discorsi in italiano è un fatto che desta grande interesse, come del resto il fatto che i vaticanisti di tutto il mondo debbano sapere l’italiano. L’uso internazionale che la Chiesa fa della nostra contrasta con scelte un po’ miopi che a volte fanno le istituzioni italiane, come per esempio vincolare all’inglese non soltanto le domande per il fondo Italiano per la scienza, ma anche i relativi colloqui: in sostanza, come sottolineava di recente Paolo Di Stefano, non solo i progetti devono presentati in lingua inglese a pena di esclusione ma anche i colloqui orali devono essere svolti in questa lingua, anche nel caso in cui l’oggetto della ricerca da finanziare riguardi l’italianistica. Per fortuna l’italiano a volte trova la forza di un potere attrattivo anche a dispetto di queste scelte».
Proprio nei giorni scorsi, invece, il rettore del Politecnico di Milano ha annunciato l’obbligo dell’esame di italiano anche per gli studenti stranieri che studiano in inglese. Un’inversione di tendenza?
«Un fatto sicuramente positivo, bisogna però stare attenti a un aspetto: 40 ore di corso di italiano rispetto a oltre 50 corsi di laurea tutti in inglese. Quale italiano impareranno? Un italiano che servirà per comperare i panini e fare amicizia con qualche compagno di corso italiano, che non risolverà però la marginalizzazione dell’italiano dal mondo accademico-scientifico. Speriamo che non sia una comoda scusa per emarginarlo ulteriormente. Meglio di niente, ma con qualche diffidenza».
La settimana della lingua italiana è dedicata a Dante. Che cosa rappresenta Dante per il resto del mondo?
«Sicuramente come Shakespeare, Cervantes, Milton, ha un nome conosciuto in tutto il mondo anche da chi non lo ha letto. Ci sono traduzioni in tutte le lingue. Domani sarò a Genova per firmare davanti a un notaio l’accettazione di una donazione venuta dall’onorevole Carocci, che aveva tra le carte di famiglia la prima traduzione della Commedia in cinese, fatta da un frate francescano italiano suo antenato. Era sconosciuta, nessuno sapeva che esistesse. L’abbiamo sottoposta a perizia da parte di sinologi italiani e anche da uno cinese di Pechino che conosce l’italiano e pare che sia la traduzione perfetta in un cinese arcaico anteriore alla normalizzazione del 1917. Fin qui la prima traduzione conosciuta era del 1921: anche questa si inserisce nel contributo che hanno dato i missionari alla diffusione dell’italiano e al contatto con le altre lingue, magari perdute. Tornando alla domanda sul centenario di Dante, faremo il bilancio alla fine, ma direi che avuto il merito di spingerci a parlare di Dante in settori non convenzionali: Dante nel fumetto, Dante nel balletto, Dante nel teatro. Anche nell’ebook di saggi che il sito della Crusca consente di scaricare gratuitamente ci sono studi sulla fortuna popolare di Dante. Con uno sguardo un po’ professorale si può essere diffidenti nei confronti di tanta divulgazione fatta durante questo anno, nel timore che predomini l’effimero, ma è anche vero che è un modo di avvicinare Dante a un pubblico nuovo. Immagino che il gran parlare che se ne fa finirà per rafforzare la lettura scolastica magari di pochi canti. Nell’insieme credo che ne ricaveremo a livello generale una maggiore consapevolezza di avere un grande scrittore che ha saputo popolare l’aldilà cristiano di personaggi anche del mito classico».
Abbiamo anche scoperto che in occasione di questa settimana che celebra l’italiano nel mondo è stato annunciato il film La fabbrica dell’italiano, dedicato alla storia della Crusca. Com’è nato?
«È stato in parte un’idea mia, avevo in mente il film Il professore pazzo, dedicato all’Oxford dictionary. Mi dicevo se si è fatto un romanzo avventuroso su una cosa che si crede polverosa – anche se non lo è - come un vocabolario, perché non fare qualcosa anche sulla storia della Crusca? Durante la chiusura per la pandemia abbiamo girato con Berta film dei video professionali per la visita virtuale. Quando abbiamo ripreso le visite in presenza abbiamo ragionato di un docu-film, perché ovviamente le disponibilità della Crusca e di Berta film non sono quelle di chi ha prodotto il film sull’Oxford dictionary. Abbiamo coinvolto anche persone note come Monica Guerritore e Alessandro Barbero e abbiamo sperimentato anche questa via. Per noi è una prova. La vedremo in anteprima fuori concorso al 62/o Festival dei Popoli (Firenze, 20-28 novembre 2021). Non abbiamo mai abbandonato il lavoro scientifico, il 15 novembre, per esempio, presenteremo un’edizione prestigiosa della grammatica storica di Rohlfs, un’opera da addetti ai lavori. Ma da tempo abbiamo una presenza sui canali social per raggiungere le curiosità linguistiche di un pubblico più ampio: il lato cinematografico è una novità anche per noi».
A proposito di salute della lingua italiana. Al termine della tornata di ballottaggio uno dei sindaci non eletti ha definito “laconico” l’esito del voto. C’è chi si interroga su che cosa abbia voluto dire...
«Un giorno da pecora per esempio, che mi ha chiamato poco fa. È evidente che la parola è sbagliata. (Si riferisce a un modo di parlare o scrivere sintetico e fa riferimento a uno stile attribuito in età classica agli spartani, ndr.). Il fatto stesso che ci si interroghi sul significato della frase, indica che la parola che non è ben scelta. Penso che intendesse dire che è un risultato elettorale che non dice poco, che non spiega nulla. Ma il solo essere qui a fare congetture sull’interpretazione testimonia che la comunicazione non è andata a buon fine».