Via dell’Asilo corre giù a sinistra di una delle tante scalette che scendono dritte dal Medioevo e che sono la cifra architettonica del centro storico di Perugia. Si chiama così dal 14 settembre del 1861, giorno dell’inaugurazione dell’Asilo Santa Croce, un anno dopo la battaglia che vide la città contesa tra le truppe piemontesi e lo Stato ponti cio e che nì con l’annessione al Regno d’Italia. Dietro il portoncino di legno, anonimo, si nasconde un tesoro di storia, memoria, presente e futuro. Insospettabile, ma pronto ad aprirsi al mondo dal 14 settembre 2019, quando matura tutta insieme una serie incredibile di coincidenze. I 158 anni di nascita della scuola. I 110 della prima classe con metodo Montessori, entrato al Santa Croce nel 1909, data di pubblicazione del Metodo della pedagogia scientifica, scritto da Maria Montessori a Città di Castello (Perugia), due anni dopo la prima Casa dei bambini – così si chiamano le scuole d’infanzia montessoriane – fondata a Roma. I 70 anni di Maria Montessori a Perugia, chiamata a tenere nel settembre 1949 un ciclo di lezioni all’Università per stranieri e l’anno dopo a presiedervi il nascente Centro studi pedagogici. Per un metodo educativo che si era fin lì diffuso nel mondo, restando a distanza dalla realtà universitaria, fu la consacrazione accademica.
Il tutto in attesa del 31 agosto 2020, 150° anniversario della nascita della pedagogista che ha avuto l’onore di dare il volto all’ultimo taglio del biglietto da mille lire. Oggi la Casa dei bambini Santa Croce è una scuola d’infanzia paritaria con un consiglio d’amministrazione espressione di enti pubblici locali: dell’asilo nato nell’Ottocento a scopo sociale in sostegno alle famiglie bisognose restano le splendide foto in bianco e nero, i cui grembiuli inamidati evocano una disciplina antica e superata. Il resto è un mondo a misura di bambino, tutto luce e colore, ricavato in un ex convento del XIV secolo: seggioline e tavolini di legno, foto di generazioni di bambini alle pareti, ogni sorta di colori e materiali didattici ad hoc, che rendono inconfondibile l’impronta, e nulla che abbia una misura fuori dalla portata delle mani di un piccolo di tre anni. Alla base c’è il concetto montessoriano che la scuola sia una “casa” in cui il bambino possa muoversi senza che il suo istinto a sperimentare per imparare venga frustrato da una serie di proibizioni, come accade in una casa pensata per adulti. Prevale il rosa. La stessa tinta della “torre rosa” simbolo del metodo Montessori nel mondo. «Ma è un caso», racconta Sylvia Dorantes, 66 anni, «un tempo ogni classe aveva un colore diverso, poi, negli anni, il bisogno di conciliare restauri ed economia, ha fatto sì che il rosa prevalesse».
Sylvia, con Luana Gigliarelli che è responsabile per la parte italiana, dirige il Montessori training center Ami di Perugia che si trova al primo piano, dove insegnanti da tutto il mondo vengono a studiare teoria e pratica del metodo Montessori per le scuole d’infanzia e primaria. «Ma da quest’anno avremo anche un corso di formazione per chi insegna alla fascia 0-3 anni. Siamo l’unica sede in Italia in cui lavorano insieme l’Opera nazionale Montessori, fondata nel 1924, e l’Ami, Association Montessori Internationale, 1929, con sede ad Amsterdam (dove Maria Montessori si era trasferita, essendo entrata in rotta di collisione con il regime fascista, ndr). Il metodo è più diffuso nel mondo che qui, io l’ho conosciuto appena diplomata a Città del Messico dove sono nata, da 46 anni alterno insegnamento e formazione internazionale. In Italia il corso è una specializzazione che segue la laurea in Scienze della formazione primaria e porta a una graduatoria speci.ca, perché il metodo è riconosciuto dallo Stato: a Perugia ci sono 14 sezioni statali a indirizzo Montessori. Da qualche decennio il metodo sta avendo un’intensa rivalutazione perché le intuizioni della Montessori, a proposito dell’enorme potenziale di apprendimento del bambino nei primi mille giorni di vita, hanno trovato conferme nelle neuroscienze: cambia la realtà intorno, ma le capacità del bambino no. Per questo Maria Montessori ripeteva di non concentrarsi sul metodo, ma sul bambino con tutto ciò che comporta».
L’idea di fondo è cercare di conservare l’entusiasmo e l’agilità con cui il bambino nei primi anni di vita impara spontaneamente, in fatto di movimento e linguaggio, una quantità di cose impensabili per un adulto: «Questo rimane attuale, come lo restano i “materiali”: oggetti scienti- camente determinati, proporzionati matematicamente, la torre rosa per esempio, che permettono al bambino di seguire la sua vocazione a costruire andando oltre il semplice gioco, mettendo in atto, senza accorgersene, una riˇessione di livello maggiore. Fermo restando il fatto che, a età diverse, corrispondono momenti di sviluppo diversi: da 0 a 3 anni sono fondamentali linguaggio e movimento, poi diventano importanti l’aspetto sociale e il progredire del pensiero astratto». Osservazione e sperimentazione sono da sempre i cardini, per questo non è un caso che gli insegnanti si formino in un luogo dove c’è una scuola in funzione, l’unica al mondo che contenga l’aula sperimentale ideata da Maria Montessori, perché i maestri in formazione potessero seguire, non visti, i bambini da una balconata. L’aula, per cui è in corso un progetto di restauro a cura dell’architetto Matteo Ferroni, dal 31 agosto del 2020, anniversario della nascita di Maria Montessori, diventerà un “monumento vivente”, visitabile senza perdere la funzione originaria. «Il progetto», spiega Maria Eva Rossi, direttrice amministrativa della Scuola Santa Croce e responsabile del comitato organizzatore delle celebrazioni per i 70 anni di Maria Montessori a Perugia che partono il 14 settembre, «è di costituire un Distretto Montessori Perugia in cui tutte le realtà montessoriane della città possano dialogare sistematicamente». Perché montessoriani forse non si nasce, ma si rimane.
Flavia Morelli , per 42 anni maestra, ora coordinatrice didattica al Santa Croce, fa da ponte tra i due piani; se serve va in soccorso alle maestre giovani: «Oggi escono dall’università con più esperienza perché c’è il tirocinio, ma si confrontano con una realtà più difficile: gli adulti ora hanno ansia di riempire il tempo dei bambini, terrorizzati all’idea che si annoino: ma così non si favorisce la creatività».