Cento anni fa, il 20 ottobre 1914, nasceva a Castello nei pressi di Firenze (allora era una frazione di Sesto Fiorentino) Mario Luzi. Coetaneo di Piero Bigongiari e Alessandro Parronchi, Luzi negli anni Trenta fu uno dei protagonisti dell’ermetismo fiorentino: la definizione critica allude a una poesia preziosa e sonora, arcana e febbricitante, legata almeno in parte alla grande matrice del surrealismo.
È curioso che quella etichetta di ermetico gli sia rimasta attaccata tanto a lungo, quasi come una categoria esaustiva. Curioso perché Luzi, come del resto i due compagni di strada citati, Bigongiari e Parronchi, ebbe modo di compiere un lunghissimo viaggio poetico, che lo portò a riattivare zone della tradizione e possibilità espressive ben lontane da quell’originaria esperienza. Essa, del resto, non è priva di fascino, né di interesse, abbeverandosi attraverso Leopardi anche al grande filone lirico della nostra poesia.
Del resto, nel libro dell’esordio di Luzi, La barca (1935), c’è già, accanto alla preziosità aerea di vari testi, qualche germe del futuro discorso di Luzi, del suo ragionare sulla complessità del mondo inteso come cosmo in divenire. Penso alla poesia più programmatica del libro, Alla vita, in cui si legge ad esempio: «Amici dalla barca si vede il mondo / e in lui una verità che procede / intrepida, un sospiro profondo / dalle foci alle sorgenti; / […]». Vero è, ad ogni modo, che nella Barca e nel seguente Avvento notturno (1940) prevalgono figure sparenti di giovinette («le fanciulle finitime dell’ombra»), il motivo della fragilità, il «dolore della giovinezza».
Più avanti, nel dopoguerra, Luzi avrebbe impugnato questi motivi, in particolare quello dell’evanescenza della vita, in raccolte impegnate a ridefinire lo statuto del poeta e della poesia. Il processo ha un primo compimento in una raccolta rocciosa e severa come Onore del vero (1957), titolo parlante come tanti altri del poeta. Qui si propone, dopo raccolte in qualche modo di transizione come Un brindisi (1946), Quaderno gotico (1947) e soprattutto Primizie del deserto (1952), una sorta di sorda resistenza all’onda del tempo, di sospensione sopra l’abisso, di tenacia nell’aderire al compito dell’essere nel mondo («[…] è qui / non altrove che deve farsi luce»).
È un libro a suo modo eloquente, scandito, che si fissa nella memoria con le sue iterazioni, le sue formule. Ma – si potrebbe dire – non è che l’inizio di un’altra lunga ‘giornata di lavoro’.
Seguono due libri entrambi decisivi: Nel magma, che esce in prima edizione alla fine del 1963, e Dal fondo delle campagne, che va a stampa nel 1965, pur essendo cronologicamente antecedente.
In Dal fondo delle campagne importa soprattutto, ed ha un ruolo
essenziale nella stessa poetica luziana, la sezione ispirata alla morte
dell’amatissima madre Margherita (avvenuta nel 1959). La sezione,
intitolata Morte cristiana, contiene un testo in cui il poeta chiarisce
la direzione della propria ricerca, proseguendo quanto intrapreso in
Onore del vero. Si tratta di Il duro filamento: alla scomparsa,
all’evocazione di un altrove, al delirio della perdita, il poeta
contrappone in qualche modo l’operante comunione di vivi e morti, la
coscienza del compito della vita nella sua trama e continuità, nel suo
senso complessivo («[…] Solo / la parola all’unisono di vivi / e morti,
la vivente comunione / di tempo e eternità vale a recidere / il duro
filamento d’elegia. / È arduo. Tutto l’altro è troppo ottuso»).
D’altra parte, la raccolta Nel magma, che non a caso viene pubblicata
per prima, quasi a segnare l’urgenza del suo nuovo dettato, irrompe con
la forza di una rivelazione nel laboratorio del poeta. È questo il libro
di più forte rottura nella carriera di Luzi: qui si scardina la stessa
predominanza dell’“io” poetico, che diventa uno dei personaggi del
dramma, del «magma» del reale. È chiara in questa acquisizione
l’impronta della Commedia dantesca (lo stesso Luzi fin dal 1946, nel
saggio L’inferno e il limbo, aveva riflettuto sull’opposizione tra una
linea petrarchesca ed una dantesca): gli incontri, i dialoghi e le
schermaglie con personaggi appartenenti alla biografia del
personaggio-poeta sono modellati sulla falsariga degli incontri con le
anime dell’aldilà dantesco. Ciò significa anche che da una parte Luzi
amplia l’orizzonte del poetabile, ambientando le scene di alcuni testi
in luoghi quotidiani come un caffè, un ufficio, l’abitacolo di un
automobile, con una lingua a tratti aperta all’uso e depressa, ma
dall’altra trasporta queste scene sul piano di una epifania.
Sono testi
dialogici e narrativi, che sembrano svolgersi qui e ora e al tempo
stesso in un luogo assoluto, quasi fossero schegge purgatoriali (cito da
Nel caffè, che registra l’incontro con un personaggio «forato nella
gola», il quale da una zona liminare tra vita e oltretempo illumina il
poeta e allarga il suo orizzonte: «“So quel che pensi, eppure hai torto”
dice / con un sorriso divenuto blando / mentre guarda fuori, mentre
l’ora si fa tarda, / “non posso non sentire in questo scalpiccio un che
di santo.” / E frattanto penso con un brivido / a noi quando saremo
sull’uscita / sul punto di dirci addio sotto la pioggia / e sotto il
pigolio degli uccelli tramato fitto»).
La scoperta del dialogo, dell’alterco porta Luzi verso il teatro di
parola (Ipazia, il primo dramma pubblicato, esce all’inizio degli anni
Settanta); d’altronde la messa in luce di una verità che procede e
matura dentro la contrapposizione e attraverso il suo superamento
spalanca il poeta a una nuova possibilità di conoscenza: non più
asseverazione, rigida contrapposizione di opposti, ma tensione,
inclusione dinamica. Muovendo da qui Luzi elabora i tre poemi di Su
fondamenti invisibili: tema e punto di fuga della poesia è non il dramma
individuale, ma quello cosmico, la vicenda complessiva del creato,
dell’essere. È l’inizio di una nuova ascesa verticale nell’opera di
Luzi, che attraverso divisioni e tormenti tenta di risalire all’unità
divina del mondo. Passando per continue interrogazioni (si pensi al
titolo del libro del 1978, Al fuoco della controversia), il poeta scopre
l’indivisa matrice dell’essere, che è e insieme diviene, rivelandosi
nella metamorfosi e nella promessa di un compimento pieno.
Poesia
filosofica, certo, ma preoccupata di non vanificare l’umano, la sostanza
e il calore del creato: è l’epoca di titoli ultimi e magnanimi come Per
il battesimo dei nostri frammenti (1985), Frasi e incisi di un canto
salutare (1990), Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994),
tutti rifluiti in L’opera poetica, curata da Stefano Verdino per i
“Meridiani” Mondadori nel 1998. I titoli seguenti, Sotto specie umana
(1999), Dottrina dell’estremo principiante (2004) e il postumo Lasciami,
non trattenermi (2009), sono stati da poco riuniti nel volume di
Garzanti, ugualmente a cura di Verdino, Poesie ultime e ritrovate, che
comprende anche i 32 inediti risalenti all’epoca della Barca (pubblicati
per la prima volta nel 2003) e varie poesie disperse.
Il discorso di Luzi arriva in questi libri culminanti del suo percorso a
una inedita altezza conoscitiva, raggiunta attraverso strumenti formali
e metrici che cooperano alla liberazione di una parola plenaria, in
cerca della totalità del senso, della risalita dalle foci alle sorgenti,
come suggeriva l’antica poesia della Barca. Dal 1978 Luzi trascorre le
estati a Pienza, dove conosce, attraverso l’amico Leone Piccioni, don
Fernaldo Flori: nato nel 1915, Flori coltiva una intensa riflessione
teologica e poetica che si incontra con quella luziana. Mario gli dedica
tra l’altro (Flori sarebbe morto nel 1996) una poesia di Frasi e incisi
di un canto salutare, intitolata (Église), che recita: «Alta, lei. Alta
/ sopra di sé. / Scavata / in che miniera / di luminosità /
quell’altezza, dico, / che la eleva – / la alza vertiginosamente // e la
spiomba su se medesima / a formare la basilica, / la nostra, lasciata /
al putiferio della mortalità – e che pure, / e che pure mortale non ci
sembra… // […]».
Il Luzi che medita sulla Parola (la citazione sulla
soglia di Per il battesimo dei nostri frammenti proviene dal Prologo del
Vangelo di Giovanni) riceve da Giovanni Paolo II nel 1999 il compito di
scrivere i testi per la Via Crucis al Colosseo (i componimenti tra
teatrali e poetici, in cui è per lo più Cristo a parlare, vengono
pubblicati con il titolo La Passione). D’altra pare la sua lunga
riflessione sul senso della nazione, sulla comunità, sulla repubblica
(“Muore ignominiosamente la repubblica” suona l’incipit di un testo
insieme profetico e di protesta che appartiene a Al fuoco della
controversia) e il suo lavoro sulla lingua italiana fanno sì che
nell’autunno 2004 il Presidente Ciampi lo nomini senatore a vita. Luzi
morirà pochi mesi dopo, il 28 febbraio 2005.
Tra i testi lasciati
inediti e infine raccolti in Lasciami, non trattenermi, c’è questo,
intitolato (Desiderium collium aeternorum):
Guardai quelle colline,
erano vere
o le aveva
un allungo celestiale
del pensiero
fatte nel sogno intravedere
tra le mire
del perenne desiderio?
là si erano
a lungo
come da un esilio
diretti oscuramente
i pensieri del ritorno,
su loro erano scorsi
anelando
i miei pensieri
anche quando pensavano
ad altro –
e ora uscivano
in una struggente trasparenza
a un incontro
con l’antica ansia,
a un promesso appuntamento
di luce, di verità immanente…
Nell’anno centenario sono state organizzate numerose iniziative per
illuminare e discutere la figura e l’opera di Mario Luzi. A Milano, tra
l’Università Cattolica del Sacro Cuore e la Basilica di Santa Maria
delle Grazie, si è tenuto il 19 e 20 marzo il convegno internazionale
intitolato Viaggio terrestre e celeste di Mario Luzi; due giornate di
studio hanno avuto luogo all’Università di Roma Tre, il 14 e il 15
ottobre (“Riemergere in lontana chiarità”. Per il centenario di Mario
Luzi); un altro convegno, sul tema più generale de L’ermetismo e
Firenze, si svolgerà nel capoluogo toscano dal 27 al 31 ottobre; una
Giornata luziana, coordinata da Giancarlo Quiriconi, avrà luogo l’8
novembre all’Accademia Petrarca di Arezzo.
A Roma il 22 ottobre, presso
la Sala Capitolare nel Chiostro del Convento di Santa Maria sopra
Minerva, si svolgerà l’incontro Il secolo di Mario Luzi 1914-2014, a
cura di Paolo Andrea Mettel, Presidente dell’Associazione Mendrisio
Mario Luzi Poesia del Mondo, con interventi tra gli altri di Stefano
Verdino, Giulio Ferroni, Giuseppe Langella. Una mostra su Luzi e i
pittori del Novecento da lui conosciuti e amati (Mario Luzi. Le
campagne, le parole, la luce. Il poeta e i suoi artisti. Memorie di
terra toscana) si è spostata da Mendrisio a Pienza, dove rimarrà aperta
fino al 31 ottobre. Nella cittadina toscana, uno dei luoghi amati dal
poeta, il 20 ottobre alle ore 21,00, nel Palazzo Comunale, avrà luogo
l’incontro dal titolo Il senso della poesia. Ricordando Mario Luzi, con
interventi tra gli altri di Marco Marchi, Nino Petreni, Marco Nereo
Rotelli e Adonis. A seguire, nella stessa serata, verrà inaugurata la
mostra-omaggio di Rotelli e Adonis Vento e luce, aperta fino al 15
novembre. A Milano, presso la Basilica di Santa Maria delle Grazie, il
27 ottobre alle ore 21,00 verranno letti i testi de La Passione (voce
recitante Pino Tufillaro).
Tra le pubblicazioni ricordiamo il volume
Prose, a cura di Stefano Verdino (Aragno), i due numeri monografici
della rivista “Istmi” (n. 33, Mario Luzi. Desiderio di verità e altri
scritti inediti e rari, e n. 34, Nell’opera di Mario Luzi), il numero
monografico su Luzi e l’ermetismo della “Rivista di letteratura
italiana” (XXXII/3) e l’omaggio del mensile “Poesia”, che nel numero di
ottobre (n. 297) ospita una serie di interventi su Luzi e dedica al
poeta la copertina.