La palese citazione de Il cimitero marino di Paul Valéry, «S'alza il vento... Bisogna osar di vivere!», si offre come la filosofia di vita dell'ultimo film animato di Hayao Miyazaki (Leone d'Oro alla carriera nel 2005). Kaze Tachinu in concorso, letteralmente S'alza il vento, è l'opera del ritiro definitivo professionale del regista giapponese e che tenta una raccolta dei temi cari con un agrodolce molto più spiccato che lascia un senso, anche in sala, di sofferto spaesamento contemporaneo.
Pur avendo le sue animazioni sempre dialogato anche con il pubblico adulto, il tono grave della parabola di vita del protagonista di quest'ultimo escludono, per forza, i più piccoli, estasiati in passato da personaggi più agevoli come Ponyo e Totoro.
La storia dell'ingegnere aeronautico Horikoshi Jiro abbinanata ad storia d'amore tratta da un romanzo breve del 1938, offre l'occasione allo Studio Ghibli di sorvolare, criticamente, un pezzo di storia del Giappone - stroardinarie le immagini e i suoni del terremoto del '23, un alter ego della successiva atomica - da cui trarre delle disincantate conclusioni che da sole vanno a spegnere le polemiche emerse nei giorni scorsi proprio a partire dalla scelta di raccontare un personaggio in parte controverso.
Jiro è, infatti, anche il progettista che creò gli aerei utilizzati dai kamikaze durante la seconda guerra mondiale.
Ciò che appare magnifico, anche se un po' accorciabile in durata, è l'evoluzione narrata della persona di Jiro e della dimensione fondamentale prescelta per ogni ogni stagione della vita. Dal Jiro bambino segnato dal potere dell'immaginazione e dei sogni all'adolescente alle prese con l'eleganza turbolenta del cuore per passare poi, nella seconda parte del film, all'idealismo serrato del giovane studioso che dovrà cedere, in definitiva alla consapevolezza dell'età adulta, che fonda il suo agire sull'amore eterno della coppia e sulla responsabilità creativa del suo lavoro.
Jiro passa dall'immaginare il futuro, grazie ai sogni abitati dell'ingegnere Gianni Caproni, mentore della priorità della bellezza e dell'eleganza sulle ragioni della tecnologia, al guardarsi indietro, cogliendo rovine e distruzione. Se da una parte emerge una fitta propensione a dare dignità alle possibilità della persona, vocata alla pace e alla creazione, dall'altra rimane l'irrisolto senso del "bisogna vivere" che a turno sembra intercettare i senior della cinematografia (e non solo...).
La speranza di Hayao sembra di fronte anch'essa ad un ritiro che ci auguriamo essere, solamente, provvisorio.
Nel frattempo rimane la nostalgia dell'aspettativa di vita che ha sempre saputo regalare ai piccoli protagonisti del suo cinema.