Nelle prossime settimane Mario Draghi e Angela Merkel vogliono chiudere una pratica che giace da tempo sul tavolo del Consiglio d’Europa: i migranti. La più infelice, dolorosa, ipocrita, irrisolta delle pratiche. Siamo in estate e i barconi dei profughi non tarderanno ad arrivare e ad approdare sulle coste europee, da Gibilterra a Lampedusa. Continueremo a soccorrerli, poiché, come dice il presidente Mattarella, «l’Italia non si è mai tirata indietro» e dispetto dei decreti sicurezza, dei porti chiusi, dei proclami contro gli immigrati. Nei confronti di una questione epocale, in fondo eterna, che attualmente, come ha ricordato sempre il capo dello Stato, coinvolge 80 milioni di uomini e donne (100 milioni sono quelli assistiti dall'Unhcr) anche per via dei cambiamenti climatici che divorano sempre più quella poca terra coltivabile dei Paesi del Terzo e del Quarto Mondo. Una popolazione equivalente a quella della Germania è in continuo movimento alla ricerca di un approdo che permetta la sopravvivenza.
Ma tornando al prossimo Consiglio d’Europa, sembra che la direzione etica dell’Unione Europea non sia quella indicata da papa Francesco («apriamo il nostro cuore ai rifugiati, facciamo nostre le loro tristezze e le loro gioie, impariamo dal loro coraggio resiliente e così tutti insieme faremo crescere una comunità più umana, una sola grande famiglia»). Il verso europeo sembra essere quello opposto. Il trattato di Dublino, che impone l’accoglienza ai Paesi dove sbarcano i rifugiati, è tutt’altro che riformato, soprattutto per l’ostinazione cocciuta dei Paesi dell’Est (primo tra tutti l'Ungheria di Orban, che lo ha riaffermato poche ore fa). Paesi che hanno poca memoria del loro dolente passato novecentesco di flussi migratori, esodi di rifugiati, pogrom, guerre, genocidi e pulizie etniche. La Merkel vorrebbe imporre un tributo a tutti quegli Stati che non vogliono ospitare richiedenti asilo, una sorta di tassa sull’egoismo e la mancanza di solidarietà. Una soluzione forse pragmatica, “alla tedesca”, ma poco coerente con quegli ideali di accoglienza e integrazione, di difesa dei diritti umani, su cui si fonda l’Europa unita.
Ma è il progetto europeo principale quello che desta maggiori perplessità. La Merkel vorrebbe affidare alla Libia la gestione dei rifugiati sul modello della Turchia di Erdogan, naturalmente a pagamento, in cambio di aiuti economici. L'Unione europea ha donato dal 2002, nell'ambito del Turkey Pre-Accession Instrument, il pacchetto di misure finanziate dalla Ue per favorire l'avvicinamento di Ankara ai requisiti economici per l'entrata nell'Unione e il blocco dei flussi migratori, ben 15 miliardi di euro. Denaro in cambio di rifugiati. In questo modo, secondo Berlino, la Libia, avrebbe un’occasione di stabilità poiché dovrebbe assumersi la responsabilità di ospitare milioni di richiedenti asilo, godendo oltretutto di ingenti risorse economiche. Davvero i signori della gierra libici e le cosche criminali verranno toccati dalla “grazia di Stato”? La soluzione della Merkel ignora del tutto i rapporti internazionali sui diritti umani calpestati dal regime di Tripoli e dalle varie tribù che hanno trasformato la gestione dei profughi in una gigantesca tratta umana, spesso in connivenza con la stessa guardia costiera, ovvero degli angeli che si trasformano in carnefici e trafficanti di uomini. Ma per ipotizzare cosa accadrebbe non c’è soltanto lo stato disumano con cui i libici trattano i rifugiati provenienti dalle regioni dell’Africa sub sahariana. Il rischio è che Tripoli adotti lo stesso metodo di Erdogan, quello di utilizzare queste enormi masse di miserabili, colpevoli solo di fuggire dall’indigenza o da regimi dispotici, corrotti e autocratici, come arma di pressione sull’Europa. Il sultano turco lo ha già fatto quando ha perseguitato le popolazioni curde e l’Europa ha osato balbettare qualcosa. Nascondendo i profughi sotto il tappeto libico, un tappeto macchiato di sangue, ancora una volta l’Unione sembra voler prendere una soluzione irresponsabile e tutto sommato pilatesca, mostrando ancora una volta il suo egoismo e la sua debolezza. Non era certo questo il sogno dei padri fondatori dell’Europa.