«Don Milani mi ha cambiato la vita. Punto. In prima avviamento me l'ero cavata con un bel carico di esami di riparazione, ma in seconda a scuola ero un disastro. Facevo forca come si dice in Toscana, affidato a uno zio a Firenze, lontano dai genitori, marinavo la scuola. A gennaio il preside convocò mio padre: "Lo mandi a lavorare, non è adatto a studiare qui perde solo tempo».
Sembra impossibile a guardarlo adesso, con questi occhi verde scuro che ti guardano morbidi, con le mani che parlano di una vita di lavoro, con questi modi pacati: del calore di fiamma lontana del ragazzo scapestrato che è stato, in Mileno Fabbiani, sembra proprio non ci sia più traccia. «Merito di mio padre, di don Milani e delle coincidenze della vita. Il babbo faceva il boscaiolo nella zona di Barbiana e una sera della primavera successiva vide un prete al tavolo che studiava con dei ragazzi. Parlò di me al Priore che dopo aver chiesto la mia età - avevo 14 anni - disse: "Va bene, per me si comincia già domani, si porti il tegamino perché qui non possiamo dare da mangiare a tutti”. Mio padre mi portò là e io scappai, una volta, due, tre, quattro. Per quattro volte mio padre per i capelli mi riportò lassù. Per questo dico che è merito anche suo, perché a scuola io neanche là volevo andare. Io non ero timido come i contadinelli di Barbiana, mi sentivo furbo perché non mi vergognavo di imbucarmi allo stadio».
Ma quella scuola non era come le altre e don Milani non era un maestro come gli altri: «Quella scuola, che aderiva alla vita, dove tutto nel quotidiano era occasione di insegnamento alla fine fece scattare in me la curiosità. E' vero che si stava a scuola tutto il giorno, ma non era un imparare solo sui libri. Barbiana era un posto in cui ogni giorno arrivavano persone interessanti: giornalisti, sindacalisti, magistrati, avvocati, deputati e tutti venivano messi a fare scuola, a rispondere alle nostre domande.
Tutto era occasione di imparare: «Anche la malattia del Priore finì sui nostri "banchi". A suo fratello che lo curava e al suo medico chiedeva: ora mettiti qui e spiega bene a questi ragazzi che cosa succede dentro il mio corpo. Dopo ogni incontro si scriveva quello che s'era sentito. Quando arrivai lassù io non sapevo scrivere una riga, ma nella correzione comune m'avvantaggiavo di quello che potevo imparare dagli altri».
Nata come un isolamento, come un luogo di esilio, don Milani trasformò Barbiana in un luogo in cui arrivava il mondo e da cui si partiva per il mondo. «Si usciva, perché non fossimo impacciati nella vita quotidiana, ci portò all'ufficio postale, in consiglio comunale, persino in Parlamento. Ed era solo l'inizio. Poi venne l'estero. Ricordo come ora quando don Milani convinse mio padre: "Allora, Mileno va tra un mesetto parte?" "Mio padre rispose, se lei, Priore, dice che ce la fa, vuol dire che puo farcela. Per me va bene". Andai sei mesi in Inghilterra, avevo 15 anni e mezzo e portai un altro che ne aveva 13 e mezzo».
Tutto molto innovativo per quel tempo e per molti anni a venire: «La lingua l'avevamo studiata con le registrazioni dalla radio che don Milani preparava la sera perché potessimo usarle la mattina. Partire fu una lezione di vita: in caso di necessità sapevamo di poter contattare la sorella del Priore che stava a Oxford, che verificava che stessimo bene, ma poi bisognava cavarsela: la mattina si andava a lavorare in un ristorante, la sera a scuola di inglese, s'era trovato un doposcuola per ragazzi figli di italiani. La consegna del Priore, che mandava circolari e pretendeva che scrivessimo spesso, era di non guardare per terra ma di sfruttare ogni insegna, ogni occasione di domanda per imparare la lingua». L'alloggio rigorosamente negli ostelli della gioventù, in modo che si stesse con ragazzi d'altri paesi che si imparasse: «Sono tornato in autostop, 35 giorni in giro. Dopo, per qualche anno ho girato l'Europa così. Son tornato che sapevo tre lingue e ho vinto facilmente il concorso in ferrovia».
Ma non è stata quella la lezione più importante del Priore, ce n’era una più importante, il dovere di non studiare solo per sé stessi: «Scesi dalla nave in Inghilterra trovammo pieno di italiani con la valigia di cartone, in difficoltà con i moduli per l'immigrazione: li aiutammo noi, memori delle cose che ci diceva il Priore a proposito della responsabilità. Del farsi carico dei problemi insieme. Dopo, in ferrovia ho fatto 25 anni il sindacalista, usando tanto le ore libere e pochi permessi sindacali. Tuttora penso che il sindacato non si possa fare al telefono ma tra le persone parlando con loro, convincendole se necessario, ma senza imporsi, senza dimenticare che si tratta di servizio non di potere. Anche questa credo sia stata una lezione di don Milani».
Mileno non ha mai perso l'aiìbitudine a leggere i giornali presentisismi alla scuola di Barbiana: «Tuttore mi capita di ritrovare concetti già sentiti da ragazzo lassù». Un debito quello con don Lorenzo Milani che non finirà mai: «Senza di lui sarei stato una persona diversa, di sicuro non migliore": se sono un ragazzo recuperato lo devo a lui».