Vittorio Bachelet porta lo stesso nome e svolge lo stesso lavoro del nonno che non ha potuto conoscere, ucciso dalla Brigate Rosse cinque anni prima della sua nascita. Un nonno che è stato grande servitore della Chiesa e dello Stato, collaboratore di papa Paolo VI e del presidente Pertini, rifondatore dell’Azione cattolica e riformatore del Diritto amministrativo, un uomo cresciuto alla scuola del Vangelo e della Costituzione.
La vita terrena del nonno di Vittorio termina in modo cruento la mattina del 12 febbraio 1980. Conclusa una lezione – era professore all’Università La Sapienza di Roma – Bachelet si avvia nei corridoi dell’ateneo accompagnato da Rosy Bindi, la futura ministra della Salute, sua giovane assistente. Una donna lo raggiunge ed esplode tre colpi di pistola. Un altro giovane spara di nuovo. Lo uccidono. Da poco più di tre anni Bachelet era stato eletto vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, ricopriva una delle più alte cariche dello Stato e per questo si trovava nel mirino delle Brigate Rosse. Dopo il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro non aveva voluto la scorta, per evitare di mettere a repentaglio la vita di altri uomini. Fu un martirio laico che colpì profondamente anche Giovanni Paolo II. Testimoni raccontano che quando l’anno successivo egli stesso fu vittima dell’attentato in piazza San Pietro, ai soccorritori mormorò: «Come Bachelet… come Bachelet…». «Il nonno sapeva del rischio che correva ma lo aveva affrontato con serenità e spirito d’affidamento», spiega il nipote, che nei ricordi della nonna Miesi, del papà Giovanni e della zia Maria Grazia ha conosciuto «una persona allegra, ottimista, che amava fare il proprio dovere fino in fondo».
Vittorio Bachelet era stato un uomo di Dio. Iscritto all’Azione cattolica fin dalla fanciullezza, si era formato nella Fuci (Federazione universitari cattolici) sotto la guida di Giovanni Battista Montini. Lì aveva conosciuto Miesi de Januario, che aveva sposato nel 1951. Fu proprio Montini, una volta diventato Papa, a volerlo nel 1964 alla guida dell’Azione cattolica italiana (di cui era già vicepresidente, nominato nel 1959 da Giovanni XXIII), per aggiornarla alle novità del concilio Vaticano II, che si stava svolgendo. L’associazione era nella stagione del suo massimo fulgore, forte di 3 milioni di iscritti, ma rischiava di sbilanciarsi più sulla mobilitazione contro i “nemici” della Chiesa e sul collateralismo con la Democrazia cristiana che nella formazione di persone in grado di testimoniare il Vangelo nel mondo contemporaneo. Sotto la guida del giovane giurista l’Ac rinasce con un nuovo volto (quello della cosiddetta “Scelta religiosa”, che intendeva «riscoprire la centralità dell’annuncio di Cristo, da cui tutto il resto prende significato”), sancito dallo Statuto del 1969, che costa la perdita di molti iscritti ma la rimette al servizio della Chiesa e della società, senza contrapposizione tra le due dimensioni.
Parole di perdono
È proprio grazie alla scia luminosa lasciata dalla sua testimonianza che il figlio Giovanni, allora venticinquenne, ai funerali trova la forza di pronunciare parole che aiutarono il Paese a rialzare la testa dalla paura degli Anni di piombo. Giovanni pregò «per quelli che hanno colpito il mio papà», chiedendo a Dio la forza per far sì che «sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta di morte degli altri». Era il sovvertimento della logica sanguinaria delle Brigate Rosse che vedevano davanti a sé obiettivi politici, non persone.
Il nipote Vittorio ci spiega che quella preghiera non nacque per caso: «Era stata pensata da tutta la famiglia. Con i congiunti era come se pregassero anche l’Azione cattolica e la comunità civile che in quei valori si rispecchiavano. Non una cosa da eroi ma semplicemente ciò che dice il Vangelo e per questo fu molto forte. Inoltre erano parole che esprimevano gli insegnamenti di fede e il pensiero giuridico del nonno: la democrazia si difende con la democrazia, non sospendendo i diritti fondamentali e con la repressione». La famiglia Bachelet tenne fede a quella preghiera. «Non ho mai sentito parole di risentimento per gli assassini», assicura Vittorio. «Anzi, nonna, che oggi ha 96 anni, è sempre stata una donna solare, allegra. È molto affezionata a me, che sono il primogenito, e ai miei tre fratelli: Maria, Lucia e Sergio. Ha aiutato zia Maria Grazia a crescere i due ragazzi che ha avuto in affido, un’esperienza straordinaria per tutta la famiglia».
Oltre che il nome, Vittorio del nonno ha ereditato una certa somiglianza fisica e la professione in campo giuridico: è infatti ricercatore all’Università degli studi di Milano e collabora con l’Università Cattolica. «In realtà il Diritto amministrativo di cui era esperto il nonno non mi ha mai molto appassionato. Io mi occupo di Diritto civile», sorride. «Più che altro ho sempre respirato in famiglia la passione per l’insegnamento»: papà è professore di Fisica alla Sapienza, mamma e zia sono insegnanti alle superiori e nonna è stata docente alle medie. «Sono consapevole che la figura del nonno è un esempio per molti e certo ho l’onere di rendergli onore, ma la sua forza è stata quella di essere sé stesso: per questo io cerco di percorrere la mia strada».
Un'eredità viva
Il giovane Vittorio è cresciuto a Roma frequentando la parrocchia di Cristo Re, gli scout dell’Agesci e i Gesuiti. Ed è proprio a un incontro estivo della Compagnia di Gesù, a Selva di Val Gardena, che Vittorio ha conosciuto Camilla Colzani, oggi sua moglie e mamma del piccolo Agostino. Pochi giorni dopo il quarantesimo anniversario della morte di Bachelet il bambino compirà un anno: cosa gli racconterà del nonno quando sarà un po’ più grande? «Più che discorsi spero di trasmettere uno stile», dice Vittorio. «Amare il tempo in cui viviamo, agire con spirito di servizio, attenzione al prossimo, passione per quello che si fa. Il nonno non va ricordato come un eroe irraggiungibile ma come un testimone che ci richiama a fare la nostra parte e ci rende migliori. È questo il senso della memoria delle vittime del terrorismo».
Una vita di impegno
20 febbraio 1926 - Vittorio Bachelet nasce a Roma, ultimo di nove fratelli (due saranno Gesuiti). Il padre, piemontese di lontana origine francese, è un ufficiale dell’Esercito.
1947 - Si laurea in Giurisprudenza e inizia l’attività di ricerca in università. Dagli anni Cinquanta ha incarichi nel Comitato per la ricostruzione e insegna a Pavia, Trieste e Roma.
1951 - Si sposa con Miesi de Januario con la quale ha due figli: Maria Grazia (1952) (insieme nella foto) e Giovanni (1955).
1964 - Diventa presidente dell’Azione cattolica italiana, che rinnova profondamente. Fa approvare il nuovo Statuto nel 1969 e guida l’associazione fino al 1973.
1976 - Dopo una breve esperienza come consigliere comunale a Roma, è nominato dal Parlamento vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura.
12 febbraio 1980 - Viene ucciso alla Sapienza dai brigatisti rossi Anna Laura Braghetti e Bruno Seghezzi.
Quella celebre preghiera del figlio Giovanni ai funerali di Bachelet
«Preghiamo per il nostro presidente Sandro Pertini, per Francesco Cossiga (allora presidente del consiglio, ndr), per i nostri governanti, per tutti i giudici, per tutti i poliziotti, i carabinieri, gli agenti di custodia, per quanti oggi nelle diverse responsabilità della società, nel Parlamento, nelle strade continuano in prima fila la battaglia per la democrazia con coraggio e amore. Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri».