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venerdì 17 gennaio 2025
 
l'analisi
 

Nagorno-Karabakh, la guerra infinita sulla pelle degli innocenti

18/10/2020  I conflitti religiosi fanno solo da paravento. In realtà quella tra Armenia e Azerbaigian è un conflitto di potere (che riguarda anche il gas del Tap all'Italia). E a pagarne le conseguenze sono soprattutto i civili: uomini, donne e tanti bambini (di Fulvio Scaglione)

(Nella foto Reuters: quest'uomo si chiama Timur Xaligov. Piange sua figlia Narin, 10 mesi, morta insieme ad altri suoi 4 parenti sotto i bombardamenti del palazzo in cui abitava a Ganja, la seconda città del Nagorno Karabakh, Azerbaigian)

 

Almeno un centinaio di morti tra i civili e metà della popolazione costretta ad andare profuga, lasciando le case di una vita per sfuggire ai bombardamenti. E quelle sono montagne brulle, inospitali, in questa stagione battute dalla pioggia e dal freddo. Come tutte le guerre sporche e lontane, anche quella del Nagorno Karabakh custodisce con ferocia le pagine più buie. L’Azerbaigian, per esempio, non svela il numero dei caduti mentre le forze armate della Repubblica separatista (riconosciuta solo dall’Armenia) avrebbero perso già 300 soldati. L’ultimo orrore arriva dalla città azera di Ganja, dove un missile armeno ha colpito un condominio dove vivevano venti famiglie, uccidendo almeno una ventina di persone.

E’ stata, in un certo senso, la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Subito dopo le parti si son accordate per una tregua umanitaria. Ora bisogna sperare che lo spirito umanitario regga per più di qualche ora. Tanto infatti era durato il cessato il fuoco siglato a Mosca il 10 ottobre dal ministro degli Esteri armeno Zohrab Mnatsakanián e da quello azero Jeihun Bayrámov. Poi i combattimenti cominciati il 27 settembre erano ripresi a pieno ritmo.

A voler essere precisi, però, bisognerebbe dire che una guerra per il “Giardino nero di montagna” (questo vuol dire, più o meno, Nagorno Karabakh) è corso dai primissimi anni Novanta e che ciò che abbiamo di volta in volta chiamato “pace” non era che una tregua nello scontro. La questione è apparentemente inestricabile. Nel 1921 Stalin, che nel declino di Lenin era già il potente segretario generale del Partito, decise che il Nagorno Karabakh, allora popolato per il 98% da armeni cristiani, doveva passare sotto la giurisdizione dell’Azerbaigian, di popolazione musulmana.

Fino al 1991 il potere sovietico tenne sotto controllo le reciproche ostilità. Ma con il crollo dell’Urss, gli armeni si presero la rivincita. Tre anni di guerra, con 30 mila morti e 100 mila profughi, consentirono la nascita della Repubblica indipendentista e l’espulsione dalla regione della popolazione azera.

In punto di diritto internazionale, l’Azerbaigian ha ragione: il Nagorno Karabakh era parte del suo territorio, proprio come il Donbass sono, per le stesse ragioni, parte dell’Ucraina. Ma non lo si può appoggiare (l’Unione europea, per esempio, si guarda bene dal prendere posizione) perché altrimenti bisognerebbe appoggiare anche le rivendicazioni di Mosca sulla Crimea, che fu “passata” da Khruscev dalla Russia all’Ucraina nel 1954, proprio come aveva fatto Stalin con il Nagorno Karabakh nel 1921. Nello stesso tempo oggi l’Azerbaigian è l’aggressore. Un aggressore che non si può condannare perché, come si diceva, in punto di diritto ha ragione.

Una specie di labirinto giuridico e politico che si scarica sui civili innocenti, che tra gli scontri del 1992-1994 e quelli di oggi hanno vissuto almeno un’altra pagina buia, quella del 2016, con altre battaglie e altre decine di morti. Chi scrive qui fu in Nagorno Karabakh all’epoca della prima guerra, tra strade minate e case con i buchi delle cannonate tappati alla bell’e meglio con il cellophan. E’ una terra aspra e povera, sorvegliata dal monte Ararat e storicamente tormentata dall’incubo turco. L’appoggio dell’Armenia, in questi decenni, non l’ha resa più comoda a ricca, anche perché tutt’altro che ricca è la stessa Armenia. L’Azerbaigian, al contrario, feudo personale della famiglia Aliev, ha sfruttato gas e petrolio per diventare una specie di Bahrein del Caucaso. L’appoggio degli Usa, che vogliono usare l’Azerbaigian come sostituto della Russia nelle forniture di gas all’Europa (nel Tap che attraversa l’Adriatico c’è appunto gas azero), ha molto giovato alle fortune personali degli Aliev (ora regna il presidente Ilham, al quarto mandato consecutivo, figlio di Geidar che era stato direttore del Kgb azero) e alla collocazione strategica del Paese.

Da fuori spinge la Turchia, schierata con l’Azerbaigian e vogliosa di farsi sentire presso i musulmani del Caucaso ex sovietico, e frena la Russia, che vuole rispettare i trattati di collaborazione e protezione stretti con l’Armenia ma non può ignorare il ruolo dell’Azerbaigian nella regione. Sarà un caso, ma all’ombra delle battaglie per il Nagorno Karabakh e dell’arrivo dei jihadisti siriani in appoggio agli azeri, sono ricominciati anche gli attentati islamisti dalle parti della Cecenia.

Prepariamoci allora a rileggere il vecchio copione. Ci saranno molti altri scontri con morti e profughi. Poi il Cremlino troverà una qualche formula per organizzare trattative che andranno avanti per anni senza concludere nulla di decisivo. Quindi armeni e azeri torneranno a spararsi e a uccidersi. E gli abitanti del Nagorno Karabakh a rappezzare le povere case colpite da proiettili che costano più di quanto ognuno di loro guadagna in tre anni.

  

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Nagorno-Karabakh, sempre più aspro il conflitto tra Armenia e Azerbaigian
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