Foto Reuters: lunga coda di gente davanti a un bancomat a Leopoli.
«Noi dobbiamo vincere... dobbiamo vincere... aiutateci. Dovete scrivere, parlare... ». Al telefono la voce salda, risoluta di Natali Prylutska, 42 anni, si incrina, spezzata da lunghi sospiri. Non nasconde la commozione, la preoccupazione nel parlare della tragedia in cui l'Ucraina è piombata. Parla da Leopoli, la città all'estremità occidentale dell'Ucraina, a 70 chilometri dal confine con la Polonia, dove è arrivata con i suoi due figli, 20 e 14 anni, dalla capitale Kiev, per raggiungere suo marito, canadese, che lavora qui per una grande compagnia. La guerra è arrivata anche qui, nei dintorni della città, con i bombardamenti. «Ormai non si tratta più di una regione, i bombardamenti sono in tutta l'Ucraina».
Eppure, Natali la guerra l'ha già vista con i suoi occhi. «Dal 2014, per sei anni, ho operato come volontaria per portare aiuto alle truppe al fronte nel Donbass. Per sei anni andavo là da Kiev e tornavo, avanti e indietro, l'ho fatto per più di 150 volte. Portabo generi alimentari, vestiti, beni di prima necessità, preparavo da mangiare per i soldati. Mia sorella ha perso suo marito al fronte». Ma allora era diverso, era un conflitto localizzato, circoscritto. Oggi, dice, non c'è una città sicura in tutta l'Ucraina. A Kiev Natali lavora come manager nel campo della riabilitazione psicologica dei veterani di guerra per la municipalità di Kiev. «Ma ora non ci sono veterani. Ora sono tutti chiamati in guerra, anche quelli che erano tornati».
Allora, quando è scoppiato il conflitto nei territori separatisti, le regioni di Donetsk e Luhansk, nel 2014, i suoi figli erano ancora piccoli. «In quegli anni sono cresciuti in buona parte senza di me. Adesso devo stare con loro». Così, Natali ha preso due settimane di ferie dal lavoro - per il momento - e con i suoi ragazzi ha raggiunto il marito a Leopoli. «Ma non sappiamo cosa faremo domani. Viviamo giorno per giorno». Nella città alla frontiera con l'Unione europea, dice, per il momento la situazione è abbastanza tranquilla, non si vede ancora un grande afflusso di profughi dalle altre regioni. Non si vede, ma si percepisce: «Gli alberghi della città sono già tutti strapieni, non si trova più una stanza. Anche per noi è difficile, fino a domani abbiamo una prenotazione in un albergo. Ma poi, chissà cosa faremo».
Ucraina, ovvero "terra di confine" nella lingua nazionale. Ma oggi questo Paese non è una frontiera, non è una terra ai margini: ora è il cuore dell'Europa. «Se cade l'Ucraina, cade tutta l'Europa», ripete Natali. «Putin deve essere fermato. Perché non si accontenterà, dopo di noi vorrà puntare su altri Paesi. È un pericolo per tutti, non solo per noi. Gli ucraini sono tutti pronti a combattere, a resistere. Ma contro le bombe russe, cosa possiamo fare? Noi siamo la porta dell'Europa. Aiutateci a fermare questa invasione».
(Foto in alto di Paolo Siccardi/Walkabout: Natali Prylutska al tempo in cui era volontaria nella guerra del Donbass)