In Vaticano è la settimana della formazione dei confessori. Lunedì scorso il cardinale Mauro Piacenza, penitenziere maggiore, ha tenuto una Lectio presso il Palazzo della Cancelleria in apertura del 29° Corso sul foro interno organizzato dalla Penitenzieria apostolica, da lui presieduta. Un corso che ha come fine quello di preparare i sacerdoti novelli, i diaconi e i seminaristi prossimi all’ordinazione al difficile compito di ascoltare le confessioni dei fedeli, materia appunto che attiene al “foro interno”, perché riguarda la vita privata, la più intima, quella che si condivide appunto con un confessore sotto il sigillo della riservatezza.
E Piacenza ha invitato a bandire dal confessionale cellulari, smartphone, iPad e qualsiasi altro apparecchio tecnologico che rischia di distrarre il sacerdote durante quello che è un momento fondamentale per la vita dei fedeli, specie quelli giovani, e di snaturare l’intero sacramento: «Si ha notizia di taluni confessori, intenti a “chattare sui social”, mentre i penitenti fanno la loro accusa», ha detto Piacenza. «Questo è un atto gravissimo, che non ho timore di definire: “ateismo pratico”, e che mostra la fragilità della fede del confessore nell’evento soprannaturale di grazia che si sta vivendo!», dice il porporato. E aggiunge: «Non è raro, purtroppo, ricevere le lamentele di fedeli scandalizzati dalla distrazione del confessore, non attento alle loro parole o, addirittura, intento a fare altro, durante il dialogo. Sotto questo aspetto, mi si permetta una sola indicazione, che vale per tutti: non si entra in confessionale con il cellulare acceso, né tanto meno lo si utilizza durante i colloqui sacramentali».
Il confessore, immedesimandosi nell’«atteggiamento di Cristo», ha proseguito Piacenza, è chiamato «ad amare la libertà del penitente, a rispettarla, anche quando le scelte che egli compie non appaiono ragionevoli né proporzionate con i doni ricevuti ed il cammino compiuto». Ma «rispettare le scelte del penitente, non significa in alcun caso condividerle e “benedirle” », piuttosto «significa semplicemente accettare di non potersi sostituire alla sua libertà». Mentre un «grande errore della cultura contemporanea» è quello di pretendere «non solo che le aberrazioni siano rispettate, ma che siano condivise e benedette e che nessuno si permetta di dire il contrario, di affermare l’esistenza, almeno, di un’alternativa reale e possibile». Per Piacenza, infine, il confessore deve porsi «in un atteggiamento di profonda “valorizzazione del penitente”, che significa valorizzare non certo il suo peccato, ma il gesto di accostarsi al sacramento, per chiedere perdono a Dio».
Il Papa: «Il sacerdote non è la fonte della Misericordia ma l'indispensabile strumento»
Il Corso si è svolto fino a giovedì e venerdì mattina tutti i partecipanti sono stati ricevuti in udienza da papa Francesco che ha ribadito il profilo del confessore: «Medico e giudice», «pastore e padre», «maestro ed educatore». E anche «martire», nel senso di testimone. Il sacerdote, nel confessionale, è uno «strumento», non il «padrone» della coscienza, ha detto Francesco, «non è la fonte della Misericordia: ne è certo l'indispensabile strumento, ma sempre solo strumento! Quando il sacerdote si impadronisce di questo impedisce che Dio apra i cuori. Questa consapevolezza deve favorire un'attenta vigilanza sul rischio di diventare i “padroni delle coscienze”, soprattutto nel rapporto con i giovani, la cui personalità è ancora in formazione e, perciò, molto più facilmente influenzabile».
Papa Francesco ha poi invitato i sacerdoti che confessano a sapere innanzitutto «ascoltare le domande, prima di offrire le risposte. Dare risposte, senza essersi preoccupati di ascoltare le domande dei giovani e, laddove necessario, senza aver cercato di suscitare domande autentiche, sarebbe un atteggiamento sbagliato. Il confessore è chiamato ad essere uomo dell'ascolto: ascolto umano del penitente e ascolto divino dello Spirito Santo».
Quanto alla possibilità di diventare «padri spirituali» dei giovani, i sacerdoti non debbono «mai» autoproporsi ma solo rispondere alla eventuale «richiesta dei giovani», ha detto il Pontefice. Il colloquio della confessione può diventare, quindi, secondo papa Francesco, «occasione privilegiata di incontro, per porsi entrambi, penitente e confessore, in ascolto della volontà di Dio, scoprendo quale possa essere il suo progetto, indipendentemente dalla forma della vocazione». Infatti, precisa il Papa, «la vocazione non coincide, né può mai coincidere, con una forma! Questo porterebbe al formalismo! La vocazione è il rapporto stesso con Gesù: rapporto vitale e imprescindibile». In tal senso, ha concluso, il confessore è chiamato ad essere soprattutto «un testimone», cioè a «com-patire per i peccati dei fratelli» e rendere «più efficace l’esperienza della misericordia, spalancando ai fedeli un orizzonte nuovo e grande». Quell’orizzonte «che solo Dio può dare all’uomo».