Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
sabato 15 febbraio 2025
 
Stasera in Tv
 

«Noi donne comuni chiamate a giudicare i boss della mafia»

03/12/2020  Stasera su Rai 1 va in onda la docufiction "Io, una giudice popolare al maxiprocesso". Su Famiglia Cristiana in edicola abbiamo raccolto la testimonianza di Francesca Vitale, una delle protagoniste di quell'evento storico in cui per la prima volta lo Stato affermò la sua forza su Cosa Nostra. Eccone uno stralcio

Francesca Vitale fu una dei sei giudici popolari (quattro donne e due uomini) del processo che per la prima volta, grazie alle indagini del pool di cui facevano parte Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, segnò una clamorosa vittoria dello Stato sulla mafia: il primo grado si concluse con 19 ergastoli e pene per un totale di 2.665 anni di reclusione.

Lei altre due giurate, Teresa Cerniglia e Maddalena Cucchiara, sono le protagoniste di Io, una giudice popolare al Maxiprocesso, la docufiction prodotta da Stand by me e trasmessa il 3 dicembre in prima serata su Rai 1 (e poi su RaiPlay) che alterna le loro testimonianze a una parte, appunto, di fiction, in cui le loro storie sono sintetizzate in un personaggio interpretato da Donatella Finocchiaro.

In più, ci sono i racconti dei magistrati che parteciparono al processo: il presidente della corte Alfonso Giordano, il giudice a latere Piero Grasso, il pubblico ministero Giuseppe Ayala.

Quando Francesca Vitale entrò per la prima volta nell’aula bunker costruita in pochi mesi a fianco del carcere dell’Ucciardone a Palermo per ospitare il maxiprocesso a Cosa nostra, si trovò di fronte centinaia di mafiosi in gabbia. «Fu un flash spaventoso. Ricordo in particolare il boss Luciano Liggio. Indossava una tuta azzurra da meccanico. Stava con le braccia aperte, le gambe divaricate, la faccia appiccicata alle sbarre, gli occhi sbarrati e un ghigno che non lo lasciava mai. Sembrava uno scimpanzé». 

Il resto dell'intervista si può leggere sul numero di Famiglia Cristiana attualmente in edicola.

 

Segui il Giubileo 2025 con Famiglia Cristiana
 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo