Cambiano i nomi, i luoghi. Il risultato non cambia. Per una Repubblica fondata sul lavoro fin dall’articolo 1 della Costituzione non è un successo dover constatare in media più di tre volte al giorno di essere la patria del lavoro insicuro. Neanche un mese dopo la strage della centrale nel lago di Suviana a Bargi sull'Appennino bolognese, un altro incidente plurimo ha lasciato quattro dipendenti della Quadrifoglio group Srl di Partinico che lavora su mandato dell'Amap la municipalizzata di Palermo, e un quinto lavoratore interinale caduti sul lavoro. Ancora. Una sesta persona è ricoverata in condizioni molto serie. Stavolta sono state le esalazioni di una cisterna a Casteldaccia in provincia di Palermo. Sono scesi in un tommbino della rete fognaria, un ambiente saturo di idrogeno solforato, prodotto di fermentazione di liquami, altamente tossico, senza la minima protezione, neppure una mascherina. Sono stati trovati a volto scoperto. Se a Bargi dove un'esplosione sotterranea mai avvenuta prima in contesti simili aveva scatenato il peggio dell'acqua e del fuoco e generato in contesto difficile da indagare e ricorstruire, per il livello di consulenze e la complessità logistica. Qui in fondo sembra tutto di facile lettura. Non cambia però la sostanza: si va al lavoro e non si torna a casa. L'ennesimo Primo maggio è passato invano, allungando la conta di quelli che non ritornano. Parole che cadono nel vuoto. Le vittime continuano a essere tante, troppe.
È già la terza volta dall'inizio dell'anno: come nelle stragi della Thyssenkrupp e in quella di Brandizzo, rimaste nella memoria collettiva, il lavoro ha spezzato il futuro di tante persone in una volta, persone che avevano la vita davanti. Tanti altri casi, meno eclatanti – magari perché individuali o perché in piccole imprese oscure e lontane dai riflettori – quando fanno notizia si sovrascrivono nella memoria collettiva gli uni sugli altri. Non dovrebbe accadere, ma accade: quando i fatti si ripetono troppo spesso cessano di essere eccezioni arrivano meno alle prime pagine.
UN PO’ DI NUMERI
Stando all’ultimo numero di Dati a cura di Inail, le morti da lavoro denunciate nell’ultimo anno solare, (dati provvisori relativi al 2023), mostrano una diminuzione del 4,5% rispetto all’anno precedente: da 1.090 a 1.041. Al netto dei decessi da Covid-19, che si erano già quasi azzerati nel 2022. A diminuire sono solo i decessi avvenuti in itinere (ossia sulla strada casa-lavoro), dai 300 del 2022 ai 242 del 2023, mentre quelli in occasione di lavoro sono stati nove in più, da 790 a 799. Il 91,7% dei casi mortali riguarda gli uomini, con un calo dell’1,5% rispetto al 2022, e quasi la metà dei decessi rientra nella fascia tra i 50 e i 64 anni. Gli infortuni mortali “plurimi”, in cui hanno perso la vita due o più lavoratori, nel 2023 sono stati 15 per un totale di 36 vittime, 22 delle quali con mezzo di trasporto coinvolto. Tra i più noti, il caso avvenuto nell’agosto 2023 a Brandizzo (Torino), dove cinque addetti alla manutenzione dei binari della ferrovia sono stati travolti da un treno e la deflagrazione in una fabbrica di fuochi di artificio che a settembre ha fatto tre vittime in Abruzzo, l’analogo incidente di luglio in provincia di Rieti.
IL LATO OSCURO
Le denunce di infortunio presentate all’Inail nel 2023 sono state 585.356, in calo del 16,1% rispetto alle 697.773 del 2022. Il decremento è attribuito quasi esclusivamente al minor peso dei casi da Covid-19, passati da circa 111mila nel 2022 a meno di seimila l’anno successivo. Al netto dei contagi, infatti, la riduzione degli infortuni sul lavoro è stata di poco superiore all’1%. Ma quest’ultimo dato va preso con cautela. Se è vero, infatti, che difficilmente una morte sul lavoro, anche nero, anche precario, anche sommerso, si nasconde (c’è sempre un’indagine d’ufficio), è probabile che non sia trascurabile il numero degli infortuni che, occultati, o travestiti da altro, sfuggono alle statistiche. La sensibilità collettiva sta imparando a sospettare che le cadute dalle scale di tante donne siano in realtà la foglia di fico per nascondere maltrattamenti in famiglia. Quante sono le cadute dalle scale che nascondono infortuni sul lavoro? Impareremo a drizzare le antenne anche per quelle? I numeri nudi e crudi non svelano le differenze. Ce ne sono e tante. Gli errori umani esistono ovviamente. Talvolta sono il riflesso indiretto della contrazione dei costi di produzione.
SUBAPPALTI, “TANA LIBERI TUTTI”?
La retorica del “fare”, che porta molto consenso in un Paese soffocato da una burocrazia spesso farraginosa, chiama i controlli «lacci e lacciuoli», intendendo con essi sinonimi di ostacolo alla libertà di impresa. Lo ripetecome un mantra dimenticando o quantomeno trascurando il fatto che i controlli sono funzionali al rispetto della seconda parte dell’articolo 41 della Costituzione che recita: «L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».
Alla fine di marzo 2023, al momento dell’approvazione della riforma del Codice degli appalti e dei contratti pubblici che sostanzialmente portava a sistema le procedure semplificate approvate nel 2020 per far fronte all’emergenza Covid, l’Autorità nazionale anticorruzione, presieduta da Giuseppe Busia, stimava che con le nuove regole «il 98,7% dei lavori pubblici» si sarebbe potuto assegnare «o con procedura negoziata senza bando, dunque senza una gara pubblica alla quale tutti possano partecipare». Il calcolo era condotto sui dati Anac del 2021, quando le stazioni appaltanti hanno dato l’ok a 62.812 procedure per l’assegnazione di lavori pubblici (per 43,39 miliardi di euro), di cui 61.731 con valore inferiore ai 5 milioni di euro, ossia al di sotto della soglia che fa scattare l’obbligo della gara d’appalto».
CHE COSA DICONO LE NUOVE REGOLE
In una nota del suo ultimo libro, Corruzione (Vita e Pensiero, 2023) Raffaele Cantone, oggi procuratore di Perugia dal 2014 al 2019 presidente Anac, sintetizza così il funzionamento delle nuove norme approvate a marzo e operative dal primo luglio 2023: «L’articolo 50 del d.Lgs n. 36 del 2023 prevede, infatti che per gli appalti di lavori entro 150 mila euro e per l’affidamento di servizi entro 140 mila euro l’affidamento possa avvenire in modo diretto, soltanto “assicurando che siano scelti soggetti in possesso di documentate esperienze pregresse idonee alla esecuzione delle prestazioni contrattuali”. Per gli appalti di lavori tra i 150 mila euro e un milione di euro è sufficiente una procedura senza bando pubblico con la consultazione di almeno 5 operatori economici e per quelli superiori a un milione di euro fino alla soglia comunitaria (poco più di cinque milioni), senza bando pubblico con la consultazione di almeno 10 operatori economici».
L’impatto effettivo del nuovo codice si comincia a riscontrare dal Rapporto quadrimestrale dell’Anac che analizza i dati del secondo semestre del 2023. Nella sintesi pubblicata sul sito ufficiale del 7 marzo 2023 si legge che nei settori ordinari in termini di importo c’è stato «un incremento assai rilevante per le procedure ristrette con il +134,3%», un incremento «abbastanza significativo per le procedure negoziate con e senza previa pubblicazione del bando. Mentre le procedure aperte (ossia con gara d’appalto ndr.) diminuiscono del -7,4%».
Per quanto riguarda i settori speciali (gas ed energia termica; elettricità; acqua; servizi di trasporto; porti e aeroporti; servizi postali; estrazione di gas e prospezione o estrazione di carbone o di altri combustibili solidi, ndr.) «sempre in termini di importo, si ha un rilevante aumento per gli affidamenti diretti, che registrano un «+637,1%, e per le procedure ristrette + 307,9%» (dovuto, principalmente, a circa trenta appalti in ambito ferroviario svolti dalla Rete Ferroviaria Italiana per un totale di circa 2,2 miliardi). Mentre si ha una concreta flessione (-52,2%) per le procedure negoziate previa pubblicazione di gara. A livello di numeri, invece, si ha, nei settori ordinari, un aumento delle procedure senza previa pubblicazione del bando (...) ,+120%, e di procedure ristrette (...), +69,3%, e una flessione di procedure negoziate previa pubblicazione del bando segnano un -22,7%. Nei settori speciali la tipologia che registra il maggiore aumento in termini di numeri è l’affidamento diretto +21,9%, seguito dalla preocedura aperta+14,5%». Salta all’occhio dell’aumento degli importi in affidamento diretto nei settori speciali: +637,1%. Mentre «per gli appalti di lavori la stazione appaltante può prevedere nel bando un premio di accelerazione per ogni giorno di anticipo», i lavori finiscono prima del termine fissato in contratto. Un incentivo a correre.
SUBAPPALTI A CASCATA, CHE COSA SONO?
A proposito del nuovo Codice degli appalti e dei contratti pubblici, ha fatto discutere anche l’articolo 119, che consente quelli che il gergo chiama “subappalti a cascata”, tema su cui ha attirato l’attenzione la notizia che sul cantiere di Firenze del supermercato, in cui hanno perso la vita 5 persone nel febbraio scorso, erano impegnate 61 diverse imprese. Quel numero ha fatto riflettere sui possibili rischi dell’esternalizzazione massiccia dei lavori, anche se si trattava di un cantiere interamente privato, per cui il subappalto era libero già con il precedente codice. Cosa che non ha impedito a Brunello Camparada ingegnere, autore del saggio I fondamentali per i coordinatori della sicurezza, di affermare che: «Sarebbe però ottima cosa che anche in tale settore si adottassero volontariamente, indicandole nei contratti d’appalto le regole del D.lgs 50/2016, al fine di evitare il proliferare dei subappalti». Dal 2016 al 2023 le cose sono andate a rovescio: non si sono adottate nel privato le norme del pubblico ma viceversa.
L’IMPATTO SULLA SICUREZZA, TRE TIPOLOGIE DI RISCHIO
Con il nuovo codice anche il settore pubblico in questo senso è stato liberalizzato. Non senza preoccupazioni da parte degli addetti ai lavori, chiamati ad analizzare le nuove norme sulle riviste di settore. «Dall'art. 119 del Codice 36/2023 il divieto dell’ulteriore subappalto è sparito», scrive, Lorenzo Buonuomo, ingegnere, membro della Commissione Lavori pubblici dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Torino, analizzando su Ingenio-web questo specifico aspetto, «Con il nuovo Codice (c. 2 art. 119) ogni subappaltatore può a sua volta affidare “a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto, con organizzazione di mezzi e rischi a carico del subappaltatore”». Un ragionamento che si conclude individuando tre tipologie di rischi, tutt’altro che secondari in materia di sicurezza sul lavoro: «1.Il decadimento della qualità dell’opera se il subappaltatore non è adeguatamente qualificato; 2.Il riciclaggio di denaro di provenienza da attività illecite; 3.La riduzione della formazione degli operai sulla sicurezza nel cantiere».
BRUNO GIORDANO: IL PROBLEMA NON È IL CONTRATTO MA L’ETICA DI IMPRESA
Su questo aspetto e in particolare sulle ricadute sulla sicurezza abbiamo interpellato Bruno Giordano, magistrato, docente di Diritto della sicurezza sul Lavoro, tra i massimi esperti del tema in Italia: «Vedendo il nuovo codice degli appalti e dei contratti pubblici», racconta, «io dissi subito che sarebbero aumentati i morti sul lavoro: perché oggi l’economia delle opere pubbliche o private è fondata strutturalmente, non occasionalmente, su appalti e subappalti. È vero che il codice si applica solo ai contratti pubblici, ma è anche vero che nell’ambito dei subappalti vi è una concorrenza delle imprese tra pubblico e privato, ciò significa che se io ho un’impresa edile di poche persone che esegue dei lavori, concorro con altre imprese a prescindere dal fatto che la prima committenza che sta a monte sia pubblica o privata: di fatto siamo tutte piccole-medie imprese edili che si fanno concorrenza per conseguire la commessa del subappalto. Quindi se si liberalizzano i subappalti a cascata nei contratti pubblici vi è sicuramente una ricaduta in tema di abbassamento dei prezzi anche nel privato. Non c’è una diretta influenza nel privato, dove comunque i subappalti sono liberi, ma dal punto di vista dell’analisi microeconomica, del rapporto tra i costi e il ricavato della subcommessa, le conseguenze sono comunque a catena».
Le 61 imprese del cantiere di Firenze inducono il profano a chiedersi come si faccia a evitare che la mano destra non sappia che cosa fa la sinistra, come si possa coordinare un numero così elevato. «I coordinatori», spiega ancora Giordano, «sono figure già previste e fondamentali, ma il problema è che senza effettuare controlli non si può capire e percepire chi effettivamente vada a eseguire i lavori dei subappalti. In una realtà come quella della centrale elettrica si è visto subito che i vari dispersi erano dipendenti di società tutte diverse, nel caso di Firenze con 61 subappaltatori, sicuramente i lavoratori dell’una non conoscevano gli altri, solo per conoscersi avrebbero dovuto riunirsi in un cinema per poter dire come ci si doveva organizzare in materia di sicurezza. L’anello debole, però, non è il subappalto, ma il subappaltatore. Non dobbiamo criminalizzare una forma di contratto, che si può scrivere bene o male, ma parlare della correttezza, della regolarità, dell’etica d’impresa del subappaltatore: la sicurezza non è soltanto la sommatoria di norme, è anche il modo con cui vengono applicate e sanzionate, perché come tutte le norme anche queste si prestano a essere eluse, frodate, aggirate, ma questo dipende dall’etica dell’impresa. Parliamo tanto di etica del lavoro ma troppo poco di etica di impresa».
La questione è meno filosofica di quanto appaia: «Il corollario di questo tema è il lavoro nero, perché il subappaltatore deve risparmiare il più possibile per conseguire la commessa e poi ricavare il proprio legittimo guadagno, ma questo lo può fare risparmiando essenzialmente su due cose: sul costo della sicurezza e sulla qualità dei materiali».
MISURE DI PREVENZIONE AL TRIBUNALE DI MILANO
Che cosa possa accadere lo si è visto nell’ampia casistica di imprese di diversi settori, dalla logistica all’alta moda, raggiunte negli ultimi anni dalla misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria del Tribunale di Milano: non si tratta di imprese indagate penalmente, ma finite sotto la lente in via preventiva, e temporaneamente “commissariate”, perché committenti di produzioni o servizi che, dati in appalto in maniera regolare, con contratti formalmente corretti, erano stati successivamente subappaltati da chi aveva ricevuto la commessa ad altri che impiegavano manodopera a condizioni di caporalato: l’obiettivo della misura temporanea, che obiettivamente restringe la libertà di impresa, non è sanzionatorio, ma preventivo: volto a bonificare una filiera a rischio di infiltrazione criminale e a restituirla risanata al libero mercato.
NUOVI SCHIAVI, COME AI TEMPI DI DON LORENZO MILANI
Se si va a leggere i decreti di amministrazione giudiziaria, nella descrizione delle condizioni di lavoro dell’ultimo anello della catena del subappalto si ripiomba spesso con la mente nella Calenzano del 1953 descritta da don Lorenzo Milani nella Lettera a don Piero (Esperienze Pastorali, 1958): «Poi scordavo di dirti che Mauro non era assicurato. Lui non ne avrebbe avuto neanche l’età, ma poi a Prato tra i tessitori, coi libretti, non ne lavorerà 10 su 100. Alla Mutua o all’Ispettorato forse credono nella magìa, ma gli altri, quelli che stanno nelle strade e nelle case e perfino le mamme che non metton piede fuor di cucina e non leggono il giornale, lo sanno tutte. Una marea senza nome e perfino senza peso nelle statistiche perché lavora senza libretto. E chi lavora senza libretto non compare negli incartamenti dei grandi e neanche sarà contato dalle macchine che stan strizzando il sugo del censimento del 1951. Gente che non esiste, eppure vive e soffre e si ammala e mangia e prende moglie e fa figlioli e s’infortuna e tutto questo senza assicurazione, senza contratto, senza difesa. In una parola: schiava come ai tempi di Nerone: gente senza diritti». Parole che Riccardo Cesari, autore di Hai nascosto queste cose ai sapienti (Giunti), uno dei migliori libri su don Milani, soprattutto per la sua contestualizzazione, definisce: «Di un’attualità sconcertante». Forse non è secondario il fatto che Cesari, ordinario di Metodi Matematici per l’Economia e le Scienze Attuariali e Finanziarie presso l’Università di Bologna, abbia un robustissimo curriculum in campo economico. Tra le righe di don Milani ci sono telai nei quali per andare più veloci si cambia la spola senza fermare. Nel pratese il 3 maggio 2021 Luana D’Orazio è morta negli ingranaggi di un macchinario tessile: le motivazioni della sentenza di patteggiamento (due anni per uno dei due titolari, sei mesi per l’altro e rinvio a giudizio per il manutentore, processo in corso) dicono che : «È stato rilevato che l’azienda utilizzava l’orditoio in maniera non conforme a quanto previsto dal costruttore, Karl Mayer TexilmachineFabrik, e con la funzione di sicurezza della saracinesca disabilitata».
IL LAVORO DATO DALLA MAFIA NON HA DIRITTI
«Nuovi schiavi», l'espressione usata da don Milani negli anni Cinquanta, ricorre sovente anche nei racconti di Alessandra Dolci a capo della Dda di Milano a proposito delle vittime di quella che il 1° marzo scorso in un incontro pubblico che abbiamo avuto a Pavia citava come ’Ndrangheta 2.0, sempre meno propensa ad azioni che attirano l’attenzione delle forze dell’ordine e riprovazione sociale e sempre più pronta ad accreditarsi come «agenzia di servizi» e a mettersi in affari con l’economia legale. In un’intervista a Famiglia Cristiana di qualche tempo fa spiegava così la faccia finto pulita della ‘ndrangheta anni Venti del Terzo millennio: «È percepita come un’agenzia di servizi, che risolve problemi senza l’impiccio delle regole, fa impresa e rende prestazioni a prezzi inferiori a quelli di mercato. Il modello imprenditoriale è cambiato rispetto a 20-30 anni fa, molti servizi vengono esternalizzati e lì si inseriscono le infiltrazioni. Non a caso vediamo nascere e morire nel giro di 1-2 anni, in modo da sfuggire al controllo fiscale, società cooperative, che evadono del tutto o fanno indebita compensazione di crediti previdenziali con fittizi crediti Iva. Il meccanismo funziona così: un’impresa anche medio-grande, il committente, fa un contratto con una “società filtro”, la quale subappalta a queste cooperative, meri contenitori di manodopera a bassissimo costo non qualificata. Di questo sistema si avvantaggiano il mafioso che fa impresa e l’impresa committente». A farne le spese sono: «L’erario (e quindi la cittadinanza, meno introiti meno soldi per i servizi pubblici ndr.), i concorrenti e i lavoratori: sono i nuovi schiavi, vittime di caporalato, presi per fame, pagati miseramente in nero, senza sicurezza». Non tutti i subappalti ovviamente funzionano così, non tutta l’illegalità economica è anche mafiosa, ma il terreno di coltura dà comunque da pensare.
ISPEZIONI, CONTROLLI, SI PUÒ MIGLIORARE?
Don Lorenzo Milani parlava negli anni Cinquanta, quando lo Statuto dei lavoratori era di là da venire, di ispettori «che credono alla magia». Con Bruno Giordano, che è stato Direttore dell’Ispettorato del lavoro ai tempi del Governo Draghi abbiamo parlato anche di controlli e di quello che andrebbe migliorato: «Noi in Italia abbiamo almeno 12 servizi ispettivi e questo impone una sovrapposizione di competenze e di specializzazioni: il risultato è che alla fine con tutti questi organi ispettivi si fanno poche ispezioni. Vi è una ricaduta diretta sulla minuta attività ispettiva perché si chiede all’ispettore Asl o all’ispettore del lavoro di avere competenze che oggi sono tecnicamente, giuridicamente, impossibili: non possiamo pretendere che un ispettore possa controllare con pari competenza un’azienda agricola, un’industria chimica, un laboratorio farmaceutico, una fonderia, una centrale elettrica... perché è ovvio che vigilare sul piano tecnico su una realtà così variegata richiederebbe un enciclopedismo “leonardesco”, oggi impensabile. Proprio il coordinamento tra vari organi aumenta le competenze: all’ispettorato quello che cercavo di fare era di coordinare ispettori dell'Asl. del lavoro, dell’inail dell’Inps, perché ciascuno facesse il suo compito nel contesto di un unico intervento ispettivo, in cui l’Asl controlla la sicurezza sanitaria, l’ispettore del lavoro i contratti, l’Inps la previdenza, l'Inail le assicurazioni.
In quel modo si va a radiografare l’'Intera attività di un’azienda. E intanto si evita la personalizzazione e l’esposizione del singolo. Perché l’antimafia insegna che nelle maglie dell’illegalità sul lavoro talvolta operano soggetti non del tutto raccomandabili: «Si evita l’identificazione personale soprattutto nei territori piccoli, ci sono province in cui abbiamo ispettori che si contano sulle dita di una mano che fanno quel lavoro da trent’anni, con l’auto privata, con una esposizione personale nel bene e nel male».
REPRESSIONE E RISCHIO PRESCRIZIONE, A CHE PUNTO SIAMO?
Dal punto di vista repressivo, Raffaele Guariniello chiede dai tempi del processo ThyssenKrupp una Procura specializzata in sicurezza sul lavoro disegnata sul modello Direzione nazionale antimafia, con competenza territoriale a livello nazionale, in grado di garantire, grazie alla specializzazione elevata,indagini veloci ed evitare che i processi si prescrivano, cosa che avviene di frequente in casi che, come la sicurezza sul lavoro, richiedono una pluralità di consulenze multidisciplinari molto tecniche. L’appello è rimasto inascoltato. E intanto il regime della prescrizione sta subendo il quarto cambiamento legislativo in quattro anni: un’instabilità che facilmente genererà errori di calcolo soprattutto nei processi più complessi.
LA SICUREZZA SUL LAVORO COSTA? PROVATE L’INSICUREZZA
Se si ragiona spesso di sicurezza sul lavoro in termini di costi microeconomici, pochissimo se ne ragiona in termini macroeconomici, ossia di costi sul sistema complessiva. Secondo le stime contenute nella Relazione Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati approvata il 26 luglio 2022 «A livello mondiale gli infortuni sul lavoro e malattie sono costati nel 2019 «circa 3.050 MLD di euro, quasi il 4% del PIL e a livello europeo circa 460 MLD di euro, oltre il 3,3 % del PIL» (Fonte Comunicazione CE 2021). A livello italiano, «il danno economico causato da infortuni e malattie professionali è risultato, nel 2007, pari a quasi 48 miliardi di euro, ovvero più del 3% del PIL (Andamento degli infortuni sul lavoro, Dati Inail, luglio 2011)».
Senza contare il costo sociale reale, che come ricorda Giordano: «Non si calcola soltanto in morti, ma in vittime: figli, genitori, coniugi, insomma famiglie sulle quali ricade il danno». E senza contare il fatto che gli infortunati, che fanno meno notizia rispetto ai morti sui giornali, scontano spesso sofferenze e invalidità permanenti.
Verrebbe da parafrasare l’adagio sul costo dell’istruzione: se pensate che la sicurezza sul lavoro sia costosa, provate con l’insicurezza.