L’imperatore romano Pertinace era di
quelle parti. Orgoglioso, sì, ma fino
a un certo punto: non esitava a definire
i dintorni di Alba come ager
squalidus, ovvero una terra aspra, disabitata,
inospitale. Diciotto secoli dopo era cambiato
poco o nulla se Beppe Fenoglio ambientava
lì e non altrove il suo racconto La Malora, eloquente
sin dal titolo.
Oggi, invece, Alba e le
Langhe sono sinonimo di vino e tartufi, di gusto
e bellezza. Un riscatto meritato. Cui non è
estranea, anzi, la Ferrero: vuoi per aver valorizzato
certe produzioni locali (le nocciole
Piemonte – elemento base della famosissima Nutella – sono ormai un marchio riconosciuto
e tutelato), vuoi soprattutto
per aver salvato quella zona da un progressivo
impoverimento economico, sociale
e demografico, grazie a generazioni
di operai-contadini.
Giovanni Ferrero, nipote del fondatore,
è l’erede di una dinastia laboriosa e
schiva.
Nato a Torino il 21 settembre
1964, in giovane età si è trasferito a Bruxelles
con la famiglia. Buoni studi in Europa,
ottime specializzazioni negli Usa,
dal 1997 e fino alla primavera del 2011,
ha condiviso con il fratello Pietro la responsabilità
di amministratore delegato
della Ferrero international, la holding
del Gruppo Ferrero, basata in Lussemburgo.
All’indomani della tragica
morte di Pietro (18 aprile 2011) ha preso
il timone del gruppo, in accordo con
il padre Michele, che a 88 anni rimane
una bussola per tutti.
– Signor Ferrero, la crisi batte la Nutella
o accade il contrario?
«Il Corriere della Sera qualche settimana
fa titolava: “La Nutella non va in
recessione”. In effetti, il nostro gruppo
ha chiuso lo scorso esercizio con un
fatturato consolidato di 7,8 miliardi di
euro, in crescita dell’8 per cento rispetto
al periodo precedente. L’anno in
corso sarà ancora migliore. Si è potuto
raggiungere questo risultato nonostante
la difficile congiuntura internazionale
e malgrado il perdurante rallentamento
nei consumi in molti Paesi europei.
A un tale tasso di crescita, ha fatto
peraltro eccezione l’Italia, dove il diminuito
potere di acquisto ha penalizzato
non poco i nostri prodotti. Tuttavia
non abbiamo messo nessuno in
cassa integrazione, strumento al quale
non abbiamo mai fatto ricorso nella
nostra storia.
La battuta d’arresto in
Italia è stata per fortuna largamente
compensata dalla nostra espansione
in altre aree, con risultati eccezionali
soprattutto in alcuni mercati asiatici,
negli Stati Uniti e in Russia. Un dato
su tutti merita attenzione: 5 anni fa il
Pil europeo generava il 25 per cento
della ricchezza mondiale; oggi è sceso
al 20 per cento e nei prossimi anni
scenderà ancora. Il mondo del futuro
sarà quindi meno europeo e la sua ricchezza
verrà distribuita in modo completamente
diverso. Da qui la necessità
anche per noi di adeguarci a questa
nuova sfida».
– Avete la fama di essere più “olivettiani”
di Olivetti: il sistema di welfare
aziendale che avete elaborato negli anni
in cosa consiste esattamente? Resisterà
al pessimo frangente socio-economico
che stiamo vivendo o sarete costretti
a ridimensionarlo?
«Negli anni ’50/60 Adriano Olivetti
aveva sognato di realizzare a Ivrea, attorno
alla sua fabbrica, solidarietà sociale,
cultura, bellezza, qualità della vita.
Ma, purtroppo, il suo sogno è durato
poco. È anche vero che quasi in contemporanea,
nel 1961, mio padre Michele,
il quale giovanissimo aveva raccolto
il testimone della guida
dell’azienda da suo padre, morto prematuramente,
organizzava ad Alba
una serie di convegni di studi sociali:
erano gli albori della “responsabilità sociale d’impresa”, quando questo concetto
non esisteva neppure. Nel 1983
vedeva la luce l’Opera sociale Ferrero,
concepita inizialmente come piccola
struttura per accogliere i dipendenti in
pensione e dar loro il sentimento di
continuare a far parte dell’azienda.
Quel nucleo si è progressivamente ingrandito,
man mano che il gruppo cresceva,
divenendo Fondazione nel
1991. Grazie alla guida di mia madre,
Maria Franca, la Fondazione è cresciuta
ogni anno di più sino a divenire il
centro sociale, educativo e culturale
che è oggi. Proprio quest’anno ne festeggiamo
il trentennale: 30 anni di assistenza
morale e materiale a migliaia
di nostri ex dipendenti; 30 anni di iniziative
culturali, di eventi, attività editoriali,
esposizioni».
– Suo padre ha di recente istituito le
Imprese sociali Ferrero. Cosa sono?
«Non si tratta di opere assistenziali,
ma di imprese vere e proprie che devono
realizzare profitti e hanno quindi
una duplice valenza: creare nuovi posti
di lavoro in aree meno favorite del pianeta
e destinare una parte delle risorse
per favorire la salute e l’istruzione dei
bambini e dei ragazzi nelle aree in cui
operano tali insediamenti. Sinora ne
abbiamo create tre, in India (impiega
circa 1.900 persone), Sudafrica (360 dipendenti)
e Camerun (200)».
– Resisteranno alla crisi economica?
«Di una sola cosa sono certo: noi ce la
metteremo tutta per non diminuire,
ma anzi per accrescere queste opere che
sono parte integrante della nostra etica
e filosofia aziendali. Il nostro motto è e
resterà quello dettato da mio padre nel
1996: “Lavorare, creare, donare”».
– Interpellati, gli studenti di Economia
e commercio italiani sognano in schiacciante
maggioranza di lavorare da voi.
Vi preferiscono a Google e a Microsoft.
Perché tanto appeal?
«Penso che da una parte ciò dipenda
dai nostri prodotti, probabilmente per
quella componente di scelta che è più
fortemente emozionale. Lavorare per
un “love brand” come Nutella è di per
sé un elemento di forte attrazione per
un giovane che si affaccia sul mondo
del lavoro. D’altra parte, nella sua componente
più razionale, la scelta è probabilmente
guidata dal nostro modello di
business: una visione di lungo termine
che poggia saldamente sull’economia
reale e rifugge da quella virtuale; una
multinazionale finanziariamente solida,
con radici locali, ma che opera nel
mondo intero in tutti i continenti. I nostri
20 stabilimenti produttivi sono ubicati,
oltre che in Italia (dove ne abbiamo
4), dall’Australia al Canada, dalla
Russia al Brasile, dalla Turchia, alla Germania
e al Messico».
– Come spiega il forte senso di appartenenza
dei vostri dipendenti?
«Qualche giorno fa ho personalmente
consegnato 463 riconoscimenti concreti
nell’Auditorium della Fondazione
ad Alba a nostri dipendenti per i loro
25, 30, 35 e 40 anni di anzianità aziendale,
in una cornice di sentita partecipazione.
Chi entra in Ferrero è immediatamente
cosciente di entrare a far parte
di una grande famiglia dove si cerca di
infondere sin da subito lo spirito di
squadra. E ciò non solo durante il periodo
del rapporto di lavoro, ma anche dopo.
Tutti i nostri collaboratori, di qualsiasi
ordine e grado, hanno coscienza
che Ferrero opera con l’obiettivo di sviluppare
legami di lungo termine con loro.
Uno dei primi corsi per i neo-assunti
si chiama “Ferrerità” e ha come temi
trattati i valori comuni che animano gli
operai, gli impiegati e i dirigenti di Ferrero.
Per Ferrero le persone e le loro
qualità fanno la differenza».
– Come vede l’Italia? È al capolinea?
«Non si può parlare di Italia senza osservare
lo scenario globale. Le spese e i
debiti pubblici fuori controllo, la fragilità
delle cosiddette monete forti, l’euro
e il dollaro, le instabilità politiche in
molti Paesi, le crescite demografiche ed
economiche disomogenee nelle varie
geografie, lo sviluppo tumultuoso di nazioni
come Cina, India, Brasile, aprono
scenari problematici. Nel nostro caso
ciò vale anche per gli approvvigionamenti
di materie prime e per l’evoluzione
dei consumi mondiali. In un simile
contesto mondiale l’Italia è fragile per
la presenza di un pesante debito pubblico
e di un decremento della popolazione
attiva. Ma la storia ci insegna che gli
italiani sanno esprimere la parte migliore
di sé proprio nei momenti di maggior
difficoltà. Personalmente continuo
a credere fortemente che questa battaglia
per un nuovo rinascimento vada
combattuta in un’ottica europea e non
solo nazionale. Lavoro, immigrazione e
moneta oggi sono variabili macroeconomiche,
di dimensioni europee, la cui gestione
non può che essere affrontata in
collaborazione e in sinergia con i nostri
partner europei. Per vincere abbiamo
bisogno di alleati».
– Siete una delle poche multinazionali
italiane. Perché da noi il sistema imprenditoriale
è così gracile? Colpe proprie
(inerzia, pigrizia, mancanza di
idee e di coraggio) o colpe altrui (Stato,
tasse, corruzione)?
«Il sistema imprenditoriale italiano è
in difficoltà per il contesto economico,
internazionale e nazionale, di cui abbiamo
appena parlato. Per riprenderci possiamo
e dobbiamo operare per accrescere
la nostra competitività. Pesano sulla
nostra economia, come una coperta di
piombo, un’eccessiva tassazione, un elevato
tasso di burocratizzazione, una difficoltà
di accesso al credito, un’esasperante
lentezza nella soluzione in giudizio
delle controversie commerciali. Se
riusciremo a eleminare o alleggerire
queste pesanti sovrastrutture, la ripresa
non potrà mancare e con essa il ritorno
al benessere e alla prosperità».
– La sua è una vita in continuo movimento.
Come interpreta le sue radici italiane?
«In effetti, il lavoro mi costringe a
viaggiare moltissimo. Sono spesso ad
Alba, dove continua a pulsare il cuore
della nostra azienda, con la sua capacità
di innovare, di produrre e di esprimere
qualità, fattore quest’ultimo al quale
teniamo moltissimo. La mia italianità
cerco di interpretarla, comunque, quotidianamente,
attraverso tre valori: creatività, flessibilità e famiglia. Il primo, la
creatività, è il fondamento della nostra
azienda, siamo cresciuti creando novità
e anticipando i bisogni dei consumatori.
Ho in questo un grande maestro,
mio padre. Il secondo, la flessibilità,
per noi italiani è quasi un cromosoma
in più. È un grande elemento di modernità,
soprattutto se in sinergia col sistema.
Il terzo elemento è la famiglia, ed è
quello più importante. È da sempre il
cemento del successo della Ferrero. Da
sempre per gli italiani la famiglia è il
primo, il principale ammortizzatore sociale,
quello che dà più sicurezza e consente
di affrontare le maggiori difficoltà.
Come famiglia imprenditoriale abbiamo
cercato e cerchiamo di condividere
questo valore con tutti i nostri collaboratori.
Cerchiamo sempre di farli sentire
membri di una grande famiglia.
Per questo ho letto con piacere e apprezzato
molto, nel suo ultimo scritto, Sulle
spalle della famiglia, il suo accorato appello
a difendere con tutte le nostre forze
questa istituzione, cellula fondante
della nostra società: la famiglia.
– A proposito: lei come concilia lavoro
e famiglia?
«Il week end cerco di passarlo in famiglia
con mia moglie Paola e i miei figli
Michele e Bernardo, rispettivamente 8 e
5 anni, facendo tutto quello che un marito
e padre fa normalmente. Ci sono a
volte viaggi brevi per scappare dalla routine
della città e ci sono week end in casa,
tranquilli. Ogni tanto mi capita di
giocare a calcio con i miei figli e scopro
che lavorare, a volte, è meno faticoso».
– Suo padre, Michele, è notoriamente
uomo di fede. Lei che rapporti ha con
la religione?
«Sono cresciuto in una famiglia molto
credente, mio padre è molto devoto
alla Madonna di Lourdes al punto che
uno dei nostri principali incontri con i
massimi manager del Gruppo si tiene
ogni anno nel mese mariano nella cittadina
dei Pirenei. La mia educazione è
stata, quindi, da sempre molto orientata
al rispetto dei precetti cattolici. Purtroppo,
i tempi moderni hanno fatto
emergere con forza un materialismo e
un edonismo quasi senza limiti. Forse,
invece, sarebbe tempo di un ritorno alle
più profonde riflessioni spirituali e
morali. Penso che papa Francesco abbia
iniziato il suo pontificato proprio in
questa direzione».
– La Ferrero ha da sempre un legame
forte, per quanto discreto, con la Chiesa
cattolica, tanto nel campo della carità,
quanto in quello formativo...
«Siamo da sempre vicini alla Chiesa e,
per quanto possibile, siamo attivi nel sostenere
alcune delle iniziative che ci vengono
proposte. Teniamo il passo dei principali
appuntamenti ecclesiali. Saremo
presenti alla prossima Giornata mondiale
della gioventù a Rio de Janeiro con
una confezione speciale di Tic Tac, un’edizione
limitata, caratterizzata ad hoc».
– Lei è anche scrittore...
«Il mio sesto romanzo è in fase di finalizzazione:
penso che potrebbe essere
in libreria questo prossimo inverno,
e di questo posso solo dirle che la storia
continua…».
– E come lettore su cosa si orienta?
Qual è il suo film preferito? Ascolta
musica? Circa il calcio: la sua squadra
del cuore?
«Uno dei miei autori contemporanei
preferiti è Guillaume Musso. È nato in
Francia e risiede negli Stati Uniti. La conoscenza
dei due Paesi gli permette di
costruire i suoi racconti all’interno della
società americana, ma di dar loro
uno stile e un respiro europeo. Apprezzo
particolarmente la sua capacità di trasferire
realtà nelle sue storie. Purtroppo,
invece, non ho mai il tempo di andare
al cinema. Sicuramente apprezzo i
film d’autore. La musica è mia compagna
durante il jogging, lo sport che cerco
di praticare quasi quotidianamente.
Mi serve per rilassarmi e per tenere il
ritmo, quindi spazio dai classici rock
(Dire Straits, Police…) a musiche più rilassanti.
Per quanto riguarda la mia
squadra del cuore, da buon piemontese,
sono juventino… peccato solo che il
derby a casa mia sia una vera sfida…
mio padre è un granata, tifa Torino».