Era una ragazzina Giulia, oggi 23 anni, quando è rimasta incinta della sua bimba. Aveva diciassette anni e tutta l’inesperienza di quell’età. «Con un ragazzo tra l’altro che conoscevo da neanche un anno. Essendo giovane non avevo ricevuto tutte le istruzioni per l’uso da mia madre sulla contraccezione». Fatto sta che un giorno arriva la notizia. Un test di gravidanza positivo e la decisione di cosa fare. «Quando sono rimasta incinta ne ho parlato subito con le amiche più grandi che mi hanno risposto: “che problema c’è il bimbo non è ancora formato puoi abortire e risolvi il problemi”. All’inizio ero serena, mi è sembrata una soluzione ragionevole. I miei non sapevano nulla, il mio ragazzo era sparito spaventato. Mi sono rivolta al consultorio». Il primo contatto non è stato dei migliori: «sono stata accolta malissimo. Mi sono presentata col test in mano e loro: “la scelta sta a te, sei solo incinta”. Solo? Non me lo aspettavo… per fortuna, poi però, ho conosciuto un’ostetrica e una ginecologa che sono nel cuore da allora. Mi hanno sempre seguita facendomi sentire accolta e protetta».
Alla prima ecografia non si vedeva nulla; «la ginecologa mi ha consigliato così “prima di decidere aspetta perché non si vede niente, potresti avere un aborto spontaneo”. A quel punto, essendo io in terza superiore, ho deciso di dirlo a mia madre. L’ho fatto per messaggio… le ho scritto “ho bisogno di parlarti” e lei mi ha risposto “sei incinta”?». Con il tipico sesto senso delle mamme. «Lei è della papa Giovanni XXIII, mi aspettavo discorsi di un certo tipo. È stata molto rispettosa. Mi ha lasciato fare la mia strada. Così ho fatto un’altra ecografia alla fine terzo mese. A quel punto ho visto il cuore e tutto il resto. Da quel momento sono stata io a decidere di tenere la bimba».
Giulia che all’inizio si era informata perfettamente sull’aborto. «Sapevo tutto, ma siccome ero minorenne non avevo il coraggio di chiedere ai miei di firmare. Quando ho visto il battito non ho più avuto il coraggio di abortire. L’estate è passata col papà della bimba accanto, ma solo per dovere perché non era d’accordo e con le amiche. Sono stata circondata dalla mia famiglia, addirittura anche dai miei fratelli più piccoli. Mia madre? Mi ha fatto parlare con un’operatrice storica della papa Giovanni XXIII e con alcuni fratelli di comunità. L’aiuto principale l’ho trovato nella mia famiglia e al consultorio: aiuto fisico, ma anche morale. Ho partecipato a un percorso per le mamme giovanissime: ci vedevamo una volta al mese per raccontarci. Non mi sono mai sentita sola».
Oggi? «Sono cresciuta con la mia bambina, non ho bruciato nessuna tappa come si suol dire grazie alla mia famiglia; soprattutto a mia madre che mi ha sostenuto nelle uscite e nelle esperienze. Sì ho fatto delle rinunce ma a cose che farò quando lei sarà più grande. Senza di lei di certo non mi vedo. È una valvola di sfogo per tutti, porta allegria e felicità anche nei momenti peggiori». E la scuola? «Finito il diploma, ho fatto due anni di lavori compatibili all’essere mamma. Adesso lavoro da educatrice e studio da educatrice all’università. Sono sempre rimasta a vivere coi miei anche perché mi sono lasciata col padre quando è nata». A un’altra mamma direi «di non stare da sola, ma farsi aiutare. Racconterei la mia esperienza: il primo momento in cui ho visto la mia piccolina. Quando è nata non ho sentito più niente né fisicamente né moralmente. La guardavo “h24”, la tenevo in braccio anche quando dormiva».