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venerdì 21 marzo 2025
 
IL CASO
 

Paola Egonu e gli altri, i talenti precoci sulla graticola dei social

18/10/2022  La stella della Nazionale di pallavolo ha avuto il coraggio di esporre il suo disagio di giovane atleta e di denunciare le dinamiche perverse dei nuovi media che invece di aiutare il talento rischiano di schiacciarlo

Dalla polvere agli altari, dagli altari alla polvere alla velocità del suono. È sempre accaduto nello sport, dove tutti credono di poter dire la loro, solo che adesso è tutto più veloce, più pervasivo, diremmo virale se il covid non avesse restituito drammaticamente a questa parola il suo significato proprio.

A caldo, a fine Mondiale di pallavolo, abbiamo sentito tutta l’amarezza di Paola Egonu: la campionessa, indiscussa e indiscutibile, ha lasciato il posto alla ragazza di 23 anni, con le sue fragilità, con le sue pressioni, che invece di nascondersi ha raccontato che cosa si prova a trovarsi sulla graticola per un punto decisivo non andato a terra in una partita in cui se ne sono fatti tantissimi. Non è da questi particolari che si giudica un giocatore, canta De Gregori, ma nel mondo dei social, dove la polarizzazione dello scontro, favorita dall’algoritmo, prevale su tutto, si giudica eccome, si insulta senza pietà, anche appigliandosi a pretesti che non hanno ragion d’essere. 

Chi ha chiesto il perché della cittadinanza - per la cronaca acquisita a 14 anni quando il papà è stato naturalizzato – stava solo offendendo gratuitamente contando sulla protezione vigliacca dell’anonimato e dello schermo dove è facilissimo lanciare il sasso e ritirare la mano. Purtroppo anche il razzismo strisciante fa parte delle nostre dinamiche sociali e chi dovrebbe governarle purtroppo non sempre aiuta.

Certo bisognerebbe dare a tutto questo il peso che ha, saperlo relativizzare. Ma l’amplificazione social è una dinamica del nostro tempo, lo sport non è altro dalla vita quotidiana, anzi essendo un mondo abitato dai giovani ci mostra prima del tempo l’Italia com’è davvero e come sarà: gli sportivi esposti sui social, che usano per comunicare e che come tutti i ragazzi sono abituati ad ascoltare, vivono situazioni psicologiche simili a quelle che preoccupano gli adulti di riferimento dei ragazzi qualunque, anche loro appesi a un like o a un’offesa gratuita. Di più complicato c’è il fatto che si vive il tutto sovraesposto dalla fama, che accresce la visibilità social in un crescendo continuo che si autoalimenta.

Tendiamo a dimenticare che i campioni sono ragazzi, tendiamo a caricarli pretendendo da loro di essere infallibili, di esserlo troppo presto, di caricarsi sulle spalle un peso che a volte può schiacciare. Il ruolo degli allenatori, dei dirigenti dovrebbe essere anche quello di proteggerne la crescita e lo sviluppo, non sempre ci si riesce quando il talento si impone presto mentre i social innescano situazioni nuove (nella Nazionale di pallavolo il tema era stato evocato anche all’Olimpiade di Tokyo, è un fattore complicante che va gestito e che spesso spiazza gli adulti non nativi digitali).

Resta il fatto che quando il talento sboccia presto, la pressione esterna – anche dai media tradizionali - si fa sentire di più ed è un passaggio che soprattutto ai precoci tocca imparare presto ad affrontare: si dice giustamente che ciò che distingue il campione è sapersene esaltare. Ma non si nasce imparati. Tutti all’improvviso vogliono tutto e subito e non ammettono errori. Non è una cosa facile trovarcisi in mezzo. Lo ha spiegato bene Paola Egonu; ma è certo un’esperienza che stanno facendo anche altri: Jannik Sinner, per cui non ci si accontenta mai delle tappe che brucia; Larissa Iapichino, cui i geni di mamma e papà, hanno dato malgrado tutti un’esposizione prematura.

Bisognerebbe solo benedire il loro talento, lasciare il tempo di farlo fruttare e ringraziare per il dono della loro gioventù dal tocco magico. E, invece, rischiamo di mettere loro i bastoni tra le ruote. Un peccato, di più: un’ingiustizia. Forse un segno di ingratitudine.

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