A vederlo sembra la copia di Enzo Jannacci, suo padre: sorriso franco, occhiali neri spessi, anche la voce ce lo ricorda, forse meno sguaiata e più melodica quando canta. Paolo Jannacci, che incontriamo a Milano in quella che era l’abitazione e lo studio da medico di suo padre (sul citofono c’è ancora scritto Vincenzo Jannacci), dopo una vita nella musica ha pubblicato il suo nuovo disco, Canterò, per cui ha scritto testi e musiche. Un mix di generi diversi, sonorità rafnate ma orecchiabili, pop, jazz e anche rap.
Che cosa l’ha spinta a debuttare come cantautore dopo un’affermata carriera come pianista jazz e produttore?
«Prima non mi piaceva la mia voce e poi c’era papà, era lui a fare la parte del leone. Mi dedicavo soprattutto alla produzione. Poi mi sono buttato e ho fatto tanta gavetta, esibendomi in luoghi con un pubblico molto esigente. Cantavo e suonavo i suoi brani nel Concerto per Enzo che continuo a portare in giro, divertendomi come un matto. E ho cominciato a scrivere brani miei, che ho raccolto in questo primo album».
Nel quale ci sono collaborazioni con artisti come J-Ax e Bisio: come li ha conosciuti?
«Conoscevo Bisio dai tempi di papà, faceva parte del giro di Paolo Rossi. Sono stato direttore musicale di Zelig dal 2010 al 2012. Mi ha voluto Bisio che lo conduceva, e mi ha fatto conoscere al grande pubblico. J-Ax l’ho conosciuto 17 anni fa, quando mi chiamò a suonare la sarmonica in un suo brano. Capii subito che era una persona speciale e buona, mi ha dato ducia e una grande energia. Abbiamo continuato a frequentarci e mi ha voluto alla direzione musicale della trasmissione Sorci verdi. Poi ho suonato nei tour che ha fatto con Fedez. Ho deciso che come pianista in live suonerò solo per lui».
E con Michele Serra, l’autore del brano Canterò, come è andata?
«L’avevo conosciuto nella redazione del programma di Fazio, è un finissimo umorista e un grande intellettuale. Aveva un testo e mi ha chiamato per riscriverlo insieme».
Perché tra le canzoni di suo padre ha scelto Fotoricordo… il mare?
«Ci sono cresciuto con quel brano; non era però stato capito dal pubblico e non lo cantava più, eppure è importante anche per la modernità musicale. C’è il tema dell’ascolto, tante persone, spesso giovani, si sentono così, inascoltate».
Non teme il confronto con suo padre, a cui per altro assomiglia tantissimo?
«Ne sono consapevole. Ho assimilato tanti atteggiamenti, non li nascondo, anzi sono felice di poterlo ricordare anche così. Mi ha insegnato a stare sul palco, il rispetto per il proprio lavoro e di sé stessi. Sono ricordi che mi piace continuare ad avere».
È stato lui ad avvicinarla alla musica?
«Da piccolo, quando mio padre suonava, andavo con le mie ditina sulla tastiera per accompagnarlo e lui mi diceva “Ma ha capito che avevo orecchio e mi ha fatto cominciare a prendere lezioni a 5 anni».
C’è un ricordo speciale con lui?
«Ricordo che andavamo insieme all’autolavaggio, si rideva come matti e ci raccontavamo le nostre cose. Quando ero un adolescente pianificavamo anche il nostro cammino artistico».
Quando ha iniziato a lavorare con suo padre?
«Già nell’88, quando avevo solo 16 anni, ho fatto una delle mie prime esperienze lavorative con lui. Ha capito che potevo portare una ventata di novità e ha iniziato a coinvolgermi sempre di più. Nell’89 abbiamo firmato la colonna sonora di Piccoli equivoci che ha avuto la nomination ai David di Donatello. Ricordo che in quell’occasione ho stretto la mano a Cossiga, allora presidente della Repubblica».
Anche sua figlia è una musicista?
«Allegra, di nome e di fatto, ha 11 anni, le piace la musica ma è più portata per la danza e le arti visive. Il mio disco Allegra è dedicato proprio a lei e ha in copertina un suo disegno straordinario di quando aveva solo 2 anni. Lei è fantastica, ma quando mi vede suonare mi dice “Papà, io e te siamo diversi”. Ma va bene così».
Lei ha scritto la biografia di suo padre, Aspettando al semaforo, quando era ancora vivo: si è basato solo sui suoi ricordi personali o l’ha aiutata a scriverla?
«Tanti hanno scritto su di lui, ma l’essenza di papà nessuno l’ha mai colta. Io e lui abbiamo fatto lunghe conversazioni che registravo. Non è una biografica classica, ma una sorta di pièce teatrale fatta di dialoghi».
(tratto da un articolo originale pubblicato su FC43 del 2019. Foto nell'articolo: Ansa)