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sabato 12 ottobre 2024
 
Il discorso
 

Papa Francesco: "Don Lorenzo Milani ci ha lasciato un'impegnativa eredità"

22/01/2024  L'incontro di Papa Francesco con i membri del Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario di don Lorenzo Milani è l'occasione per una lettura non scontata della figura del priore di Barbiana nel solco della visita del 2017 sulla sua tomba in Mugello

Un discorso nel solco della visita a Barbiana del 2017, quello che Papa Francesco ha rivolto, il 22 gennaio 2024, ai membri del Comitato Nazionale per le celebrazioni del centenario di don Lorenzo Milani che, presieduto da Rosy Bindi e accompagnato dall'arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, raccoglie tante persone - studiosi, allievi, amici - che negli anni hanno lavorato a tramandare la memoria di Lorenzo Milani e che nel centenario della nascita del priore di Barbiana stanno promuovendo un prezioso lavoro di ricerca e divulgazione.

: una lettura non scontata, quella che il Papa ci restituisce, dell'avventura umana e spirituale del sacerdote fiorentino, di cui spesso si stenta a ricollegare l'esperienza della scuola all'esperienza religiosa: «L’evento centrale della vita di Don Milani», ricorda il Papa, «è la sua conversione, non dimentichiamolo. Essa permette di comprendere appieno la sua persona, dapprima nella sua ricerca inquieta e poi, dopo la completa adesione a Cristo, nella sua piena realizzazione. Il suo “sì” a Dio lo prende, lo trasforma e lo spinge a comunicarlo agli altri. Di fronte alla salma di un giovane sacerdote, Lorenzo dice al suo padre spirituale, Don Raffaele Bensi, una parola decisiva: “Io prenderò il suo posto”».

Papa Francesco ravvisa in questa frase, - pronunciata apparentemente di impulso nel corso del primo vero colloquio con quello che sarebbe stato per tutta la vita di don Milani il suo direttore spirituale, l'unico vero custode del segreto della sua fede, per tanti versi ai nostri occhi, per carenza di documentazione, tuttora nascosto, - «la risposta alla vocazione ad essere cristiano e insieme sacerdote, tanto che Adele Corradi, l’insegnante che gli è stata accanto, afferma: "Egli non ricordava nessun momento da credente in cui non pensasse di essere prete. Gli pareva che la decisione di essere prete fosse contemporanea alla conversione"». La citazione, accolta «con grande gioia» dalla professoressa Corradi che ne ha avuta notizia nella sua casa fiorentina, giunge dal libro Non so se don Lorenzo, pubblicato con una nuova postfazione dell'autrice nel 2012, dopo la prima edizione del 2008: altra scelta non scontata, tratta forse dal meno "agiografico" tra i libri dedicati a don Milani, quello che meno rischia di farne, nel profondo rispetto per l'uomo e per il sacerdote, "il santino per fidanzate" da cui metteva in guardia padre David Maria Turoldo; prezioso in quanto esito dell'elaborazione, messa su carta a distanza di molti anni, da parte di chi ha avuto la possibilità di avere con Milani un incontro tra adulti formati, nella consuetudine quotidiana del lavoro scolastico nell'ultimo periodo di Barbiana, una lettura per questo più disincantata rispetto alle testimonianze degli allievi, e per certi versi unica.

«La conversione è il cuore di tutta l’esperienza umana e spirituale di Don Milani che lo fa credente, prete innamorato della Chiesa, fedele servitore del Vangelo nei poveri. Don Lorenzo ha vissuto fino in fondo le Beatitudini evangeliche della povertà e dell’umiltà, lasciando i suoi privilegi borghesi, la sua ricchezza, le sue comodità, la sua cultura elitaria per farsi povero fra i poveri. E da questa scelta non si è mai sentito sminuito, perché sapeva che quella era la sua missione, Barbiana era il suo posto, tanto che, appena arrivato, acquistò lì la sua tomba. Don Bensi, quando lo andò a trovare già gravemente ammalato e lo vide nella stanza che serviva da scuola, circondato dai suoi ragazzi, rimase colpito e scrisse: "Erano lì tutti in silenzio [...]. E lui era uno di loro, non diverso, non migliore [...]. Capii allora, più che in qualunque altro momento, il prezzo della sua vocazione, l’abisso del suo amore per quelli che aveva scelto e che lo avevano accettato. [...] Fu per me, e rimane, l’immagine più eroica del cristiano e del sacerdote". "Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia". Don Milani ha sperimentato anche questa beatitudine con la sua gente e i suoi allievi. La scuola è stato l’ambiente in cui operare per un fine grande, uno scopo che andava oltre: restituire la dignità agli ultimi, il rispetto, la titolarità di diritti e cittadinanza, ma soprattutto il riconoscimento della figliolanza di Dio, che tutti ci comprende.

Allo stesso modo non scontata è la citazione del decisivo Esperienze pastorali, molto meno noto e citato del celeberrimo Lettera a una professoressa, ma cruciale per comprendere il percorso:«Noi –dice ai preti in Esperienze Pastorali – abbiamo per unica ragione di vita quella di contentare il Signore e di mostrargli d’aver capito che ogni anima è un universo di dignità infinita».  Don Milani è stato testimone e interprete della trasformazione sociale ed economica, del cambiamento d’epoca in cui l’industrializzazione si affermava sul mondo rurale, quando i contadini e i loro figli dovevano andare a fare gli operai, una condizione che li confinava ancora di più ai margini. Con mente illuminata e cuore aperto Don Lorenzo comprende che anche la scuola pubblica in quel contesto era discriminante per i suoi ragazzi, perché mortificava ed escludeva chi partiva svantaggiato e contribuiva nel tempo a radicare le disuguaglianze. Non era un luogo di promozione sociale, ma di selezione, e non era funzionale all’evangelizzazione, perché l’ingiustizia allontanava i poveri dalla Parola, dal Vangelo, allontanava contadini e operai dalla fede e dalla Chiesa. Allora si interroga su come la Chiesa possa essere significativa e incidere con il suo messaggio perché i poveri non rimangano sempre più indietro. E con saggezza e amore trova la risposta nell’educazione, attraverso il suo modello di scuola, cioè mettere la conoscenza a servizio di quelli che sono gli ultimi per gli altri, i primi per il Vangelo e per lui».

«Al piccolo gregge di Barbiana, alla sua gente, Don Lorenzo consegna tutta la propria vita, che prima ha consegnato a Cristo. Il motto “I Care”», spiega il Papa cogliendo perfettamente la declinazione in Milani, dell'amore evangelico non in un generico universalismo disincarnato, ma nella concretezza della condivisione con il piccolo gregge che gli è stato assegnato, «non è un generico “mi importa”, ma un accorato “m’importa di voi”, una dichiarazione esplicita d’amore per la sua piccola comunità; e nello stesso tempo è il messaggio che ha consegnato ai suoi scolari, e che diventa un insegnamento universale. Ci invita a non rimanere indifferenti, a interpretare la realtà, a identificare i nuovi poveri e le nuove povertà; ci invita anche ad avvicinarci a tutti gli esclusi e prenderli a cuore».

E ancora: «Penso che l’esperienza di Don Milani si possa rileggere con le parole che San Giovanni Paolo II ha utilizzato per descrivere la figura del martire: "Egli sa di avere trovato nell’incontro con Gesù Cristo la verità sulla sua vita e niente e nessuno potrà strappargli questa certezza. Né la sofferenza né la morte violenta lo potranno fare recedere dall’adesione alla verità che ha scoperto nell’incontro con Cristo". Siamo qui a dire la nostra gratitudine a Don Lorenzo Milani, prete inquieto e inquietante, fedele al Signore e alla sua Chiesa: ringraziamo per la testimonianza che ci ha lasciato come impegnativa eredità», da trasmettere alle nuove generazioni. 

È il testimone che il Papa ha consegnato al Comitato, accolto al termine con queste parole dalla presidente Bindi: «Per il Comitato nazionale questa udienza è stata un momento davvero importante e significativo, un incoraggiamento a far conoscere sempre meglio le parole e l’azione di don Lorenzo Milani. Papa Francesco ci ha consegnato l’esempio di un sacerdote coerente e appassionato, che ha amato i poveri e la Chiesa, e ancora oggi può ispirare l’impegno dei cristiani nella società. Con il suo I care don Lorenzo ci chiede di sentirci responsabili verso gli altri, soprattutto i più fragili e gli ultimi, di prenderci cura dei beni comuni per costruire un mondo più giusto per tutti».

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