Come se fosse la cosa più naturale del mondo papa Francesco passa dalla tribuna dell'Onu alla piccola scuola di Harlem e poi, ancora, al Madison Square Garden per concludere la tappa newyorkese e partire per Filadelfia. Dopo aver posto le questioni dei piccoli e degli esclusi, e quella degli immigrati, su tuttii tavoli dei potenti. Bergoglio va ad incontrare questi piccoli nella scuola Nostra regina degli Angeli che, nel quartiere di Harlem, si occupa di dare istruzione ai bimbi immigrati. Con loro, e con le loro famiglie, papa Francesco parla in spagnolo. Non c'è bisogno di traduzioni perché lo spagnolo è la lingua madre di quasi tutti questi bambini e la seconda lingua parlata nel Paese. Anche a loro, come aveva già fatto con i giovani cubani, chiede di sognare. E di essere gioiosi perché dove c'è gioia c'è Gesù, dove c'è tristezza c'è il diavolo.
E ancora, nella messa per la giustizia celebrata nel Madison Square Garden, «luogo
emblematico di questa città, sede di importanti incontri sportivi, artistici,
musicali, che raduna persone provenienti da diverse parti, e non solo di questa
città, ma del mondo intero», papa Francesco ribadisce che «nelle grandi città, nel rumore
del traffico, nel “ritmo dei cambiamenti”, rimangono coperte le voci di tanti
volti che non hanno “diritto” alla cittadinanza, non hanno diritto a far parte
della città – gli stranieri, i loro figli (e non solo) che non ottengono la
scolarizzazione, le persone prive di assistenza medica, i senzatetto, gli
anziani soli – confinati ai bordi delle nostre strade, nei nostri marciapiedi
in un anonimato assordante. Entrano a far parte di un paesaggio urbano che
lentamente diventa naturale davanti ai nostri occhi e specialmente nel nostro
cuore».
Ma non bisogna disperare perché «Gesù continua a
percorrere le vostre strade, mescolandosi vitalmente al suo popolo,
coinvolgendosi e coinvolgendo le persone in un’unica storia di salvezza, ci
riempie di speranza, una speranza che ci libera da quella forza che ci spinge
ad isolarci, a ignorare la vita degli altri, la vita della nostra citta. Una
speranza che ci libera da “connessioni” vuote, dalle analisi astratte, o dal
bisogno di sensazioni forti. Una speranza che non ha paura di inserirsi agendo
come fermento nei posti dove ti tocca vivere e agire. Una speranza che ci
chiama a guardare in mezzo allo “smog” la presenza di Dio che continua a
camminare nella nostra città».