PHOTO
«A Gaza una carneficina inaccettabile». Il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, nella lunga intervista all’Osservatore romano chiarisce la posizione della Santa Sede. Condanna con forza la strage del sette ottobre e ribadisce la disponibilità della Santa Sede ad aiutare per il ritorno a casa degli ostaggi. Nello stesso tempo, però, denuncia che non è possibile ridurre le persone a vittime collaterali. «Oggi», dice il cardinale, «la situazione a Gaza è ancora più grave e tragica rispetto a un anno fa, dopo una guerra devastante che ha mietuto decine di migliaia di morti. È necessario recuperare il senso della ragione, abbandonare la logica cieca dell'odio e della vendetta, rifiutare la violenza come soluzione. È diritto di chi è attaccato difendersi, ma anche la legittima difesa deve rispettare il parametro della proporzionalità». E, invece, «purtroppo la guerra che ne è scaturita ha avuto conseguenze disastrose e disumane... Mi colpisce e mi affligge il conteggio quotidiano dei morti in Palestina, decine, anzi a volte centinaia al giorno, tantissimi bambini la cui unica colpa sembra essere quella di essere nati lì: rischiamo di assuefarci a questa carneficina! Persone uccise mentre cercavano di raggiungere un tozzo di pane, persone rimaste sepolte sotto le macerie delle loro case, persone bombardate negli ospedali, nelle tendopoli, sfollati costretti a spostarsi da una parte all'altra di quel territorio angusto e sovrappopolato. È inaccettabile e ingiustificabile ridurre le persone umane a mere “vittime collaterali”».
Il segretario di Stato commenta anche le manifestazioni di piazza dei giorni scorsi ribadendo che «anche se a volte queste iniziative, a causa delle violenze di pochi facinorosi, rischiano di far passare a livello mediatico un messaggio sbagliato, mi colpisce positivamente la partecipazione alle manifestazioni, e l'impegno di tanti giovani. È il segno che non siamo condannati all'indifferenza. Dobbiamo prendere sul serio quel desiderio di pace, quel desiderio di impegno... Ne va del nostro futuro, ne va del futuro del nostro mondo».
E di fronte a chi «sostiene, anche nella Chiesa, che di fronte a tutto ciò bisogna innanzitutto pregare, non scendere in piazza per non fare il gioco dei violenti» il cardinale risponde che «Sono un battezzato, sono un credente, sono un prete: per me la preghiera incessante davanti a Dio perché ci assista, ci aiuti e intervenga per porre fine a tutto ciò sostenendo gli sforzi delle donne e degli uomini di buona volontà è essenziale, quotidiana, fondamentale. La preghiera non sarà mai abbastanza, ma non sarà neanche mai abbastanza l'impegno concreto, la mobilitazione delle coscienze, le iniziative di pace, la sensibilizzazione, anche a costo di apparire ''fuori dal mondo'', anche a costo di rischiare: c'è una maggioranza silenziosa - composta anche da tanti giovani - che non si arrende a questa disumanità. Anche loro sono chiamati a pregare. Pensare che il nostro ruolo, come cristiani, sia quello di rinchiuderci nelle sacrestie, lo trovo profondamente sbagliato. La preghiera chiama anche ad un impegno, a una testimonianza, a scelte concrete».
E sul piano di pace aggiunge: «Qualunque piano che coinvolga il popolo palestinese nelle decisioni sul proprio futuro e permetta di finire questa strage, liberando gli ostaggi e fermando l'uccisione quotidiana di centinaia di persone, è da accogliere e sostenere. Anche il Santo Padre ha auspicato che le parti accettino e che si possa finalmente incominciare un percorso di pace». Secondo il cardinale, però, la Comunità internazionale «certamente può fare molto di più rispetto a ciò che sta facendo. Non basta dire che è inaccettabile quanto avviene e poi continuare a permettere che avvenga».
«Sembra evidente», aggiunge, «che la guerra perpetrata dall'esercito israeliano per sconfiggere i miliziani di Hamas non tiene conto che ha davanti una popolazione per lo più inerme e ridotta allo stremo delle forze, in un'area disseminata di case e di palazzi rasi al suolo: basta vedere le immagini aeree per rendersi conto di che cosa sia Gaza oggi. Mi sembra altrettanto evidente che la comunità internazionale risulti purtroppo impotente e che i Paesi in grado di influire veramente fino ad oggi non l'abbiano fatto per fermare la carneficina in atto. Non posso che ripetere le parole chiarissime pronunciate in proposito il 20 luglio scorso da Papa Leone XIV: ''Alla comunità internazionale rivolgo l'appello a osservare il diritto umanitario e a rispettare l'obbligo di tutela dei civili, nonché il divieto di punizione collettiva, di uso indiscriminato della forza e di spostamento forzato della popolazione''. Parole che ancora attendono di essere accolte e comprese».
Per il cardinale la soluzione due popoli, due Stati resta la soluzione ottimale per il Medio Oriente «ma non possiamo non notare con preoccupazione che le dichiarazioni e le decisioni israeliane vanno in una direzione opposta e, cioè, intendono impedire per sempre la possibile nascita di un vero e proprio Stato palestinese. La Santa Sede ha riconosciuto ufficialmente lo Stato di Palestina dieci anni fa, con l'Accordo Globale tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina. Il Preambolo di quell'accordo internazionale supporta pienamente una risoluzione giusta, comprensiva e pacifica della questione della Palestina, in tutti i suoi aspetti, in conformità al diritto internazionale e a tutte le pertinenti risoluzioni dell'ONU. Al contempo, sostiene uno Stato di Palestina che sia indipendente, sovrano, democratico e praticabile, inclusivo della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e di Gaza. Il medesimo accordo individua questo Stato non in opposizione ad altri, ma capace di vivere fianco a fianco dei suoi vicini, in pace e in sicurezza». E oggi «guardiamo con soddisfazione al fatto che diversi Paesi del mondo abbiano riconosciuto lo Stato di Palestina. Ma non possiamo non notare con preoccupazione che le dichiarazioni e le decisioni israeliane vanno in una direzione opposta». E conclude che «la nascita di uno Stato palestinese - dopo quanto avvenuto negli ultimi due anni mi sembra ancora di più valida. È la via, quella dei due popoli in due Stati, che la Santa Sede ha perseguito fin dall'inizio. Le sorti dei due popoli e dei due Stati sono interconnesse».





