Monsignor Giuseppe Pasotto nell'edicola Caritas all'Expo (foto di F. Scaglione).
Non tutti lo sanno ma la Georgia, che pur diede i natali a Stalin, è anche la terra in cui la Chiesa cattolica è presente da otto secoli con tre riti (latino, armeno e siro-caldeo). E la chiesa dei Santi Pietro e Paolo, nella capitale Tbilisi, fu anche l'unica, insieme con quella di San Luigi dei Francesi a Mosca, a restare sempre aperta nel periodo sovietico. In questa terra, e nel contesto travagliatissimo del Caucaso, lavora dal 1993 monsignor Giuseppe Pasotto, veronese, religioso stimmatino, che dal 1996 è Amministratore apostolico del Caucaso dei Latini, con un ruolo pastorale che si estende su Georgia, Armenia e Azerbaigian.
Pochi, dunque, conoscono come lui la realtà post-sovietica. Inevitabile quindi, incontrandolo all'Expo per il Caritas Day, partire dal più recente dei molti traumi caucasici: la guerra tra Russia e Georgia del 2008. Qual è la situazione oggi?
"Dopo il conflitto, la situazione si è congelata ma, nello spirito di molti georgiani, non risolta. Il riconoscimento che la Russia ha dato all'Abkhazia e all'Ossetia brucia ancora. Per ragioni affettive, certo, ma anche per ragioni più concrete: la Georgia è piccola, perdere porzioni di territorio spaventa molti. Il nuovo orientamento portato dal presidente Margvelashvili, eletto nel 2013, ha cercato di costruire un buon rapporto con la Russia, nella speranza che i rapporti commerciali potessero far ripartire l'economia, tenendo però in piedi anche questioni delicate come l'adesione alla Nato o l'avvicinamento all'Europa. La situazione è migliorata ma non quanto le gente si aspettava. I risultati sono inferiori alle attese e sta montando un po' di delusione".
La Chiesa, in questo contesto, è molto attiva con le opere caritative e di sensibilità sociale. lei stesso ebbe a dire che la Caritas è un fiore all'occhiello della sua amministrazione apostolica...
"Stiamo riflettendo molto su questi temi, per cercare di dare ai nostri interventi alcune direzioni precise. Per esempio, in Georgia c'è ancora molta necessità di mense: la gente ha bisogno di mangiare. Un bisogno primario, ma dobbiamo ben capire a chi dobbiamo andare incontro. Molto spesso frequentano le mense ex insegnanti, impiegati, insomma una borghesia intellettuale che è stata brutalmente impoverita dal cambiamento dei tempi. E' un "pubblico" particolare, che si vergogna di aver bisogno, e che occorre saper approcciare. Altra direzione: i centri diurni per gli handicappati che vivono in casa, che abbiamo istituito con i camilliani. Qui si tratta di dare sollievo alle famiglie e dignità personale ai disabili, che un po' in tutta l'ex Urss sono trattati quasi solo come un peso. Infine, e soprattutto, dobbiamo guardare avanti e lavorare per lo sviluppo. Finalmente siamo riusciti a far partire una scuola professionale di falegnameria, speriamo di averne presto un'altra, per il settore turistico, con l'arrivo dei salesiani. Anche qui, il tema è la dignità: che i giovani possono trovare in un lavoro solido con cui mantenersi, e non solo in titoli di studio magari poi inutilizzabili".
E per Armenia e Azerbaigian?
"In Armenia siamo ancora molto concentrati sui bisogni primari, sulla povertà. Solo ora partiamo con le prima iniziative di formazione. In Azerbaigian c'è un forte impegno per i giovani e, con le suore di Madre Teresa, per le povertà estreme".
Come vanno i rapporti con le autorità della Georgia?
"In Georgia, come Caritas, abbiamo più di 70 progetti e un impegno molto diversificato, che le autorità, a partire dal presidente Margvelashvili, hanno più volte riconosciuto e apprezzato.A volte vorremmo fosse un po' più facile coinvolgere la società civile e le amministrazioni locali nei nostri progetti, ma anche qui molte cose cominciano a muoversi".
E i rapporti ecclesiali, in particolare con la Chiesa ortodossa?
"Anche in questo campo ci sono diversi segnali positivi. Restano certe difficoltà, è ovvio, anche perché da queste arti le questioni teologiche diventano problemi della vita quotidiana. Un esempio: il nostro battesimo non è riconosciuto dalla chiesa ortodossa. Che succede, allora, quando due giovani, uno cattolico e l'altra ortodossa, vogliono sposarsi? Uno dei due dovrebbe aderire alla Chiesa dell'altro... Però possiamo dire che certe strade si sono riaperte e che le prospettive sono buone. Papa Francesco è molto ammirato e su certi temi come la bioetica e, appunto, gli interventi a sfondo sociale il dialogo è molto aperto. Al punto che anche la Chiesa ortodossa, ora, si è dotata di una sua Caritas".