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sabato 12 ottobre 2024
 
 

Blanca non vede ma capisce tutto

07/10/2013  La protagonista dell'omonimo romanzo di Patrizia Rinaldi trasforma il suo limite, la cecità, in una risorsa. Napoli e le donne sono le coprotagoniste di questo riuscito noir.

Blanca risolve i casi più complicati. Capisce al volo sfumature, dettagli, le persone e i luoghi. Le basta un’inflessione della voce, una pausa, un profumo. È una detective di rara bravura, ed è cieca, la protagonista del bel noir Blanca di Patrizia Rinaldi (e/o edizioni, pp. 192, euro 9.50).

Con il commissario Martusciello e l’ispettore Liguori risolverà un caso che dai vicoli del centro e dalle case popolari di Napoli porta ai palazzi della borghesia. «Volevo raccontare un personaggio capace di trasformare un limite in una risorsa», racconta l’autrice. «Il nome viene da “Il tempo di Blanca” di Marcela Serrano, in cui una nonna consiglia alla nipote: “perdi tutto ma non gli occhi, perché solo gli occhi ti salveranno dalla solitudine”. Ho pensato così al limite peggiore, e a come una donna potesse comunque vivere nonostante tutto».

Come sei riuscita a calarti così bene nei panni di una detective cieca?
«Ho partecipato a diversi percorsi museali guidati da ciechi. Nello scrivere Blanca ho cercato il più possibile di evitare pietismi. Ho pensato: se avessi un problema del genere, cosa vorrei si dicesse di me? E ho cercato di rispettare il sentimento di chi ha un limite visivo. Spero di esserci riuscita».

E invece, i due poliziotti, Liguori e Martusciello?

«Anche loro non sono persone perfette, ma ce la fanno nonostante gli acciacchi: non mi piacciono i supereroi, troppo facile vincere per loro. Martusciello ha un’estrazione sociale bassa e la strada segnata: poteva diventare guardia o ladro, è diventato guardia. Liguori invece è aristocratico, anche antipatico, diventa ispettore quasi per trasgressione. Di solito queste realtà non si incontrano ma a volte convivono nella stessa persona».

Nel libro l’altra grande protagonista è Napoli. Qual è il tuo rapporto con la città?
«
Ho cercato di raccontare Napoli fuori da luoghi comuni. Il mio rapporto con Napoli è complicato: prima ne ero innamorata, da giovane amavo anche il caos. Ora meno. Ci sono bellezze stratosferiche e ferite anche gravi. Racconto Napoli con un amore irrisolto».

Nel romanzo la fanno da padrone le donne: povere e ricche, giovani e anziane.
«Amo molto le donne, la loro complessità, questa quotidianità così mista tra maternità, professione, amore. Tra le altre, ho amato molto Carmen (amica di Margherita, la donna sulla cui morte indaga Blanca, ndr): personaggio rivoluzionario che rischia vita e lavoro in memoria di un’amica morta. L’icona lamentosa della donna meridionale è assolutamente non vera: ho incontrato tante donne forti, grandi lavoratrici e solidali, soprattutto nelle classi popolari».

La lingua usata nel romanzo è molto diversa da quella quasi “spoglia” dei gialli nordici molto di moda. «La lingua che uso è semplicemente la mia voce. Certo è un rischio perché può anche distogliere dalla trama, ma penso che i lettori siano meglio di come li si dipinge».

Leggeremo ancora di Blanca?
«Di lei non sono stanca, quindi continuerò con le sue storie: consegnerò il prossimo romanzo nel 2014. E Blanca resterà una donna che subisce un danno, e ce la fa. Capace di dirci che le risposte possono arrivare da noi stessi, che ce la possiamo fare. Come si dice a Napoli: "C’a putimm fa"».

 
 
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