Con i suoi 91 anni, Liliana Segre vede lontano, avanti. Nei giorni scorsi è tornata per un documentario al Binario 21 della stazione centrale di Milano, da cui partì ragazzina con il padre per un viaggio, destinazione Auschwitz, che chi l’ha deportata voleva senza ritorno. Per il padre deportato con lei lo è stato, lei è tornata. Rimasta a lungo in silenzio, trent’anni fa ha cominciato a raccontare. Non ha più smesso, anche se raccontare pesa, rinnova il dolore, soprattutto in un momento come questo, in cui le atrocità della guerra vicina fanno temere che la storia, nelle sue pagine più cupe, sia destinata a non insegnare ma a ripetersi soltanto. Eppure Liliana Segre guarda avanti. In occasione del ciak documentato da Repubblica ha raccontato che le piacerebbe invitare lì al binario Chiara Ferragni. La notizia ha fatto notizia, più di tutto il resto, ma non è frivola come sembra.
Come aveva intuito Giovanni Falcone le idee hanno bisogno di gambe per camminare: gambe e teste di persone che abbiano davanti il tempo di portarle avanti oltre i limiti anagrafici dei testimoni diretti, di gambe e di voci capaci di fare breccia in chi la memoria non la può avere se non tramandata, perché non era nato. Liliana Segre nella sua intelligenza comunicativa ha pensato al tramite che può portare la sua testimonianza nel futuro e già adesso nel mondo che frequentano i ragazzi, perché la memoria ha bisogno di voci, di gambe e anche di ponti tra le generazioni.
È capitato di pensarci in questi giorni, andando nelle scuole a ricordare la strage di Capaci. Ti chiedi: come raccontare Giovanni Falcone e la scena di guerra del 23 maggio 1992 a ragazzi nati tra il 2003 e il 2007?
Solo provando a mettersi alla loro altezza, dalla loro prospettiva si può arrivare a intuire che per loro il Covid e la guerra d’Ucraina saranno quello che Capaci è stato per noi e quello che la seconda guerra mondiale è stata per chi è venuto prima di noi: il fatto straordinario – come lo chiamava Marisa Fenoglio raccontando suo fratello scrittore – che ti permette di capire che quello che accade in un luogo che fin lì ti è sembrato lontano in realtà riguarda anche te e all’improvviso ti “sveglia”, con la forza di uno schiaffo ti fa crescere, ti fa uscire dalla bolla dell’adolescenza e ti costringe a farti domande da grande che, da quel momento in poi, non puoi eludere.
Ogni generazione ha il proprio “fatto straordinario”, ma passarsi il testimone è cruciale per non restare monadi chiuse, ognuna con il proprio ricordo, perché la memoria, che è orizzonte di senso, in cui radicarsi per capire da dove si viene e dove si vuole andare, diventi anche tessuto civile. Per questo sarebbe importante che Chiara Ferragni raccogliesse l’invito.