Don Luca Peyron, 46 anni, sacerdote dal 2007, responsabile della pastorale universitaria dell'arcidiocesi di Torino (foto tratta da Facebook).
(Foto Reuters: Greta Thunberg durante lo sciopero per il clima a Montréal, in Canada, il 27 settembre)
Di sicuro non è un attacco a Radio Maria, «di cui, invece, ho grande stima». Non è nemmeno una difesa, a spada tratta, della giovane attivista svedese Greta Thunberg e delle sue idee. Semmai è il desiderio di una Chiesa che sia davvero cattolica (cioè universale), che sappia ascoltare e aprire la porte a chi si batte per una società migliore. Senza steccati ideologici. «E senza mettere in conflitto ciò che, invece, si potrebbe e si dovrebbe armonizzare». Parla don Luca Peyron, direttore dell’Ufficio di Pastorale universitaria della Diocesi di Torino e docente di Teologia dell’innovazione all’Università Cattolica di Milano. Nelle ultime ore il sacerdote è stato protagonista di un confronto a distanza con l’emittente mariana più famosa di sempre. Al centro del dibattito un unico fenomeno e due modi radicalmente opposti di leggerlo.
Tutto inizia venerdì, giornata mondiale di mobilitazione ambientalista. Milioni di giovani scendono in piazza, chiedendo una società più rispettosa del pianeta e delle sue risorse. Benché molto variegato, il movimento si riconosce nella giovane leader carismatica Greta Thunberg, ambientalista svedese di appena 16 anni. Proprio nel giorno delle proteste, Radio Maria (ricordiamo, per inciso, che il suo direttore, don Livio Fanzaga, ha anche collaborato con la nostra rivista Credere) pubblica sulla sua pagina Facebook un breve testo (non firmato), dai toni estremamente duri. «Cara Greta» si legge, «dopo che abbiamo buttato Dio nella pattumiera, vogliamo salvare il pianeta? Dopo che lasciamo sopprimere feti umani vogliamo proteggere i cuccioli animali? Dopo che confondiamo i generi, vogliamo salvare le specie? Dopo che aiutiamo gli uomini a morire, vogliamo salvare le foreste? Volto indignato il tuo, o forse manipolato? Giovani, non lasciatevi ingannare!». E poco dopo don Peyron risponde, sempre via Facebook. Con garbo, ma anche con fermezza. «Così facendo Radio Maria rischia di far solo male alla Chiesa. Essere accanto ai giovani per sostenerli e se necessario aiutarli a non diventare vittime ingenue di lupi rapaci è esattamente quello che la Vergine Maria ci ha insegnato», scrive il direttore della Pastorale universitaria torinese. E aggiunge: «Lottare per il pianeta non esclude difendere la vita nascente. Chi sostiene una causa giusta non è un nemico solo perché non ne sostiene altre».
Visto l’acceso dibattito che il breve scambio di opinioni ha innescato dentro e fuori la Chiesa (molti media se ne stanno occupando in queste ore) abbiamo contattato don Peyron per approfondire la sua posizione. «Da un certo punto di vista», ci spiega, «ciò che l’emittente scrive può avere una sua logica. Ovviamente siamo chiamati a proteggere chi soffre per la fame e a custodire la vita nascente. Ma tutto ciò non può essere messo in contrasto con l’aspirazione di una generazione a vivere in un mondo migliore. Dobbiamo invece accompagnare i ragazzi nel loro cammino di ricerca, aiutandoli a porsi domande».
Quanto al dilagare del movimento ambientalista, «sicuramente ci sono aspetti ingenui ed emotivi. Magari c’è anche il rischio di qualche manipolazione ideologica. Ma non è una novità. Stiamo parlando, appunto di ragazzi». E aggiunge: «La differenza rispetto ad altre marce è che questi giovani non stanno manifestando contro qualcosa, ma per qualcosa. E questo ‘qualcosa’ è scritto nella Genesi». Il sacerdote, che con i giovani ha un dialogo costante (anche attraverso gli strumenti digitali) rileva poi un aspetto di cui non si è parlato abbastanza. «Dopo il messaggio pubblicato da Radio Maria, in tanti mi hanno cercato, chiedendomi il perché di quel testo. Credo fosse mio dovere rispondere. Se i giovani ci chiedono conto di ciò che scriviamo è perché, evidentemente, quello che la Chiesa ha da dire li interessa. Il nostro pensiero non è più marginale o emarginato, come accadeva una generazione fa. Questo è un dono dello Spirito Santo, sul quale dobbiamo costruire». E conclude: «I giovani scendono in piazza chiedendoci di avere a cuore il creato, di non devastare l’Amazzonia. Ci chiedono di poter ancora guardare il cielo. E io, come sacerdote, che cosa dovrei dire? Che guardare il cielo è sbagliato?».