Un accampamento di fortuna di "senza fissa dimora" a Seattle. La fotografia, scattatta nel gennaio 2015, è dell'agenzia Reuters.
Philadelphia, Usa
Dal nostro inviato
Sono cominciate anche le sessioni parallele, ovvero quel dividersi in gruppi più piccoli per poter approfondire alcuni temi che consente anche di conoscersi tra delegati, guardando velocemente al nome sui badge appesi al collo con una striscia verde, che è il colore delle magliette, dei badge, del convegno, di molti gadget, mentre i volontari sono arancioni.
Guardando i vari temi cui sono dedicati i gruppi emerge una forte prevalenza della sensibilità ecclesiale e pastorale, mentre sono poco numerosi i temi di attenzione sociale ed economica. Diciamo che tre quarti dei gruppi si occupano di approfondire la vocazione e le sfide della famiglia cristiana, mentre pochi sono quelli dedicati all’economia, alla demografia, alle questioni sociali. E proprio a uno di questi ho scelto di partecipare, anche perché sembrava tema di grande attualità:
“Le preoccupazioni della famiglia urbana”. Prima sorpresa: il numero dei partecipanti, davvero molto ridotto (meno di cento, a occhio e croce – ben pochi, a confronto con i 20.000 partecipanti).
Ma parlare di famiglia non vuol dire anche occuparsi di soldi, economia, lavoro, urbanistica, politiche sociali…?
Seconda sorpresa: il coordinatore dell’incontro, inglese, si presenta come pastore anglicano e anche il relatore, reverendo Terrence Griffith è un pastore battista, di Philadelphia; che peraltro è stato anche senatore, non si capiva se nello stato della Pennsilvania o se a livello federale. E si conferma, così, il grande sforzo che l’Incontro mondiale delle famiglie ha fatto per non essere
“di soli cattolici”, ma aperto a tutte le altre confessioni, cristiane e non, come si era visto anche dalla celebrazione liturgica del giorno precedente, cui avevano partecipato anche pastori delle varie chiese protestanti.
Washington, Usa, 21 settembre 2015. Alla vigilia della visita di papa Francesco (che ha incontrato anche dei senza fissa dimora), un clochard dorme appoggiato a una scultura chiamata "Homeless Jesus", posta di fronte agli uffici della Caritas diocesana della capitale. Foto Reuters.
Terza sorpresa: Griffith, pur essendo un “reverendo”, con una Chiesa
di riferimento (più moglie e due figli) è davvero un esperto dei
problemi dell’urbanizzazione (delle grandi metropoli, più
precisamente), e in breve tempo mette in fila una serie molto
interessante di problematiche delle famiglie connesse al contesto
urbano, come l’inquinamento, il sovraffollamento, la questione
abitativa, la peggiore qualità dei servizi, la peggiore qualità della
formazione scolastica, il problema della sicurezza e dell’ordine
pubblico... Forse un po’ troppo specifico sul contesto statunitense, ma
davvero preciso e puntuale.
Altri due elementi mi hanno comunque sorpreso, e mi hanno confermato che
“avevo scelto un buon gruppo”: in primo luogo un piccolo dato, un po’
sfuggito tra i molti nelle slide presentate: il 14% degli americani è
stato homeless – noi diremmo “senza fissa dimora” - almeno una volta nella
vita! A pensarci bene è un dato intollerabile: una persona su nove, se
il dato è vero – e non ho ragione di dubitarne, vista la qualità
dell’intervento – una su nove, dicevo, significa che in Italia sarebbero
oltre 8 milioni. Negli Stati Uniti, su 300 milioni, sarebbero oltre
40 milioni! Ma non è forse vero che nel nostro Paese a molti padri
separati è capitato di dormire in macchina, spesso per lunghi periodi? E
quanti hanno perso casa o lavoro… La povertà e l’emarginazione ci riguardano, soprattutto nelle grandi città. Non possiamo voltarci dall’altra parte.
L’ultimo elemento che mi ha colpito è che il reverendo Griffith ha posto
come ultimo punto di criticità l’indebolimento della religione nella
vita delle città e delle famiglie, e ha proposto con forza la sua
riscoperta tra le principali strategie per combattere il degrado urbano.
Ha detto proprio: «Se c’è Dio nelle case e nelle città, quelle case e
quelle città saranno migliori». E si riferiva al rapporto tra religione,
valori e insegnamento, lotta all’inquinamento e al traffico, alla
criminalità. Insomma, gli americani saranno magari meno sofisticati di
noi: però forse proprio per questo sanno guardare in faccia una grande
realtà, e annunciarla con semplicità: fondare la vita su valori forti
rende la vita più umana. Forse servirebbe anche da noi, nella vecchia a
cinica Europa, almeno un po’ di questa “ingenuità”, per diventare
testimoni più efficaci.
* Francesco Belletti è il direttore del Cisf (Centro internazionale
studi famiglia) e presidente del Forum delle associazioni familiari