Quando nel 1955 un ragazzino di campagna arrivava alla scuola media, magari in collegio, perché i trasporti erano quelli che erano e spesso il convitto o il seminario erano l’unico modo di proseguire gli studi per chi non stava in città, il disagio con l’italiano era quello di chi aveva l’abitudine a un dialetto in casa. Chi l’ha vissuto racconta di maccheroniche traduzioni di chi usava il dialetto come grimaldello tra l’italiano e il latino e viceversa.

shaun.lowe@gettyimages.com
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Una classe del passato (Istock)

Chi ha settant’anni oggi, o meno, è entrato alla scuola media che il latino curricolare non c’era (dal 1963 al 1977 è stato materia autonoma ma facoltativa e solo in terza) e se ha imparato l’italiano, lo ha imparato - chi meglio chi peggio - senza il soccorso di qualche ora di latino.

Conoscere il latino aiuta a dominare l’italiano? Indubbiamente sì, ma come strumento di riflessione a ritroso, quando l’italiano lo si è già imparato. Alla scuola media forse basta e avanza un bravo insegnante di italiano per spiegare l’origine latina di alcune apparenti eccezioni italiane.

Tra l’altro, potrebbe esserci un problema non piccolo: dato che per accedere alle cattedre di scuola media l’abilitazione al latino non è da tempo più necessaria, e almeno dal 1978 vi si accede anzi con classi di concorso che non la prevedono, quanti insegnanti di italiano alla scuola media oggi hanno l’abilitazione all’insegnamento del latino, ancorché facoltativo e per una sola ora alla settimana? Forse non c’è neppure una statistica che lo dica. Ma è probabile che rasentino lo zero. E non sarà certo una infarinatura appiccicaticcia a fare il miracolo di aggiustare l’italiano in classe, passando per il latino.

Mentre intanto, piaccia o meno, il mondo è cambiato: le classi di scuola media sono piene di ragazzi e ragazze cresciuti parlando in casa una lingua diversa dall’italiano, ai quali forse tornerebbero molto più utili insegnanti di italiano con strumenti per insegnarlo come seconda lingua anziché latinisti con l’abilitazione chiusa nel cassetto, ammesso che ci siano e che nel frattempo non abbiano dimenticato quel che ne sapevano.

A leggere le indicazioni nazionali si ha la sensazione che contengano il sogno di riportare magicamente indietro l’orologio della storia ai primi anni Sessanta, quando però gli analfabeti in Italia erano circa l’8%. Forse non era un mondo migliore era solo diverso.

Fino al 1963, fin lì con il latino lingua autonoma curricolare, alla scuola media arrivavano pochi eletti e la scuola anche dell’obbligo semplicemente buttava fuori quelli che non stavano al passo. Magari preparava anche meglio, ma soltanto quei pochi eletti in partenza e qualche rara eccezione: per dirla con don Lorenzo Milani era un ospedale che curava i sani e respingeva i malati. Non potremmo tornare là neanche volendo, perché l’utenza della scuola non accetterebbe più un articolo 3 della Costituzione così poco attuato e il Paese neppure.

Mentre probabilmente a far la differenza tra l’italiano che si parla e si scrive a scuola è ancora la qualità della lingua che si respira crescendo e la quantità di buoni libri che si aprono dentro casa: diseguaglianze che la scuola fatica da sempre a colmare. Detto questo la scuola si deve arrendere? Certo che no. Ma forse sarebbe meglio che lottasse insieme a noi guardando avanti, anziché indietro.