«Volevano fare un carnevale». La voce di Egle Possetti (foto in alto, © Siccardi / Walkabout) è un sibilo. Ogni tanto s’incrina per l’emozione. Vive a Pinerolo, alle porte di Torino, e nel crollo del Ponte Morandi del 14 agosto 2018 ha perso la sorella Claudia, il cognato Andrea e i nipoti Manuele e Camilla, rispettivamente di 16 e 12 anni. Il “carnevale” a cui allude è l’inaugurazione in pompa magna pensata per il nuovo Ponte, tirato su a tempo di record ma sul quale Egle e gli altri familiari delle vittime non saliranno mai. «Non è una presa di posizione politica», spiega, «è che umanamente non ce la facciamo».
L'amarezza di Egle: «Il ponte una festa? Andava costruito prima del crollo e dei morti»
Possetti è la presidente del comitato che raggruppa i familiari di ventuno delle quarantatré vittime. Mercoledì 15 luglio, poco prima dell’ora di cena, è squillato il telefono di casa: era il presidente del Consiglio Conte che voleva informarla della decisione assunta dal governo che prevede l'uscita graduale da Autostrade di Atlantia (controllata, in parte, dalla famiglia Benetton) e l'ingresso di Cassa depositi e prestiti. Cioè, dello Stato. Un gesto di sensibilità: «Mi ha detto che ci teneva a parlarmi personalmente e che dal suo punto di vista è un buon traguardo per tutti». Qualche giornalista le ha chiesto se dopo quella telefonata avessero ripensato se intervenire all’inaugurazione: «Nessun dietrofront», risponde secca, «abbiamo chiesto a Bucci (sindaco di Genova e commissario straordinario per la ricostruzione, ndr) di evitare festeggiamenti fuori luogo e di nominare quel giorno i nomi dei morti. Anche Mattarella ha telefonato a Bucci e a Toti (il presidente della Regione, ndr) chiedendo una cerimonia sobria e unitaria».
Egle ha un assillo: «Non scriva solo di me, io sono solo la portavoce». Ricorda gli «undici bambini rimasti orfani», le «sedute dallo psicologo» per superare il trauma, il «senso di colpa» che la rode come un tarlo: «Perché i miei nipoti e non io? Se la morte è il compimento della vita, com’è possibile considerare compiute vite di 12 e 16 anni?». Il nuovo Ponte costruito in appena un anno e mezzo non è un sollievo ma sale sulle ferite: «Significa che il Morandi poteva essere demolito e ricostruito senza la tragedia. Ci sono voluti i morti, tante famiglie distrutte, tutto questo dolore inutile perché non ha alcun senso. Siamo familiari delle vittime ma anche cittadini. Il crollo del Morandi ha fatto scoppiare una bolla, abbiamo scoperto che andare in autostrada è un terno al lotto, che la manutenzione era un optional, che chi aveva il dovere di intervenire non l’ha fatto». Due cose l’hanno ferita in questi anni vissuti a lottare e chiedere giustizia: «I tentativi di utilizzare la morte dei nostri cari per fare propaganda e l’inaugurazione che volevano fare con artisti del mondo dello spettacolo e fuochi d’artificio. Significa che, a due anni dalla tragedia, non c’è neanche la sensazione del rispetto che si deve portare a chi, sotto quel ponte, ha lasciato la vita».
Giorgio Robbiano e Benedetta Alciato, la vita e l'impegno di due coniugi dopo il Morandi

(Foto © Siccardi / Walkabout)
Giorgio, il crollo del Morandi gli ha cambiato la vita: «Siamo stufi di inaugurazioni. Ne abbiamo contate otto»
A rendere meno amaro il dolore di Giorgio Robbiano, 43 anni, vicepresidente del comitato, è il figlio che arriverà a novembre dalla moglie Benedetta Alciato. La mattina del 14 agosto Robbiano ha perso il fratello Roberto, la cognata Ersilia e il nipote Samuele di 8 anni il cui pallone rotolò tra le macerie. Scendevano da Campo Morone, sulle alture di Genova, per andare a festeggiare insieme il compleanno del papà. La tragedia gli ha cambiato la vita: «Lavoravo in Piemonte come direttore d’albergo», racconta Giorgio, «ho dovuto mollare e tornare in Liguria per accudire mio padre che nel frattempo ha avuto un ictus». Ora, insieme alla moglie, gestisce un B&B in piazza San Matteo, tra i carruggi del centro di Genova. «Siamo stufi delle inaugurazioni del nuovo Ponte», dicono, «ne abbiamo contate otto finora. I genovesi non si entusiasmano perché hanno capito che sul Ponte potevano esserci loro, ecco perché non vogliono cerimonie e frecce tricolori come paventato all’inizio».
Benedetta, l'importanza della memoria: il libro - diario per ricordare le vittime del Morandi
Benedetta accarezza la copertina del libro che ha curato, Vite spezzate – Genova, 14 agosto 2018, che raccoglie tredici testimonianze dei familiari delle vittime. In copertina una striscia nera, due ali di colomba e un numero: 43. «Ho iniziato scrivendo un diario personale di questa tragedia e Giorgio mi ha detto: “Perché non coinvolgi gli altri familiari delle vittime?”. Alla fine è nato questo volume, uscito l’anno scorso per il primo anniversario del crollo. Quest’anno avremmo dovuto presentarlo in giro per l’Italia ma la pandemia ha bloccato tutto». Non rischia di riattizzare il dolore? «No, è importante che la gente capisca la situazione che viviamo, quando lo regalo dico sempre: “Non leggerlo se non te la senti, l’importante è che tu ce l’abbia”». Qualcuno dei Benetton in questi due anni si è fatto vivo con voi? Un biglietto, una telefonata, un messaggio: «No», la risposta di Giorgio. Identica a quella di Egle.
Il libro di Benedetta Alciato
I racconti e le storie qui raccolti hanno come protagonisti coloro che dal 14 agosto 2018, dopo il crollo del ponte Morandi a Genova, non hanno più possibilità di raccontarsi. Nel vuoto incolmabile che hanno lasciato, numerosi amici e famigliari hanno accolto con gratitudine l'opportunità di ricordarli in un libro.