Povertà + disabilità = isolamento. La triste equazione emerge dalla ricerca “Disabilità e povertà nelle famiglie italiane” condotta dall'organizzazione umanitaria CBM Italia (www.cbmitalia.org) insieme alla Fondazione Emanuela Zancan Centro Studi e Ricerca sociale (www.fondazionezancan.it). Presentata il 31 gennaio all'Archivio Storico della Presidenza della Repubblica, la ricerca mette per la prima volta sotto la lente di ingrandimento il legame tra condizione di disabilità e impoverimento economico e culturale. Due aspetti che caratterizzano la vita di milioni di italiani: secondo i più recenti dai Istat disponibili, infatti, in Italia ci sono 3 milioni di persone con disabilità (dato 2021) e 5,6 milioni di persone in povertà assoluta (dato 2022). «Ci siamo chiesti quale sia la portata del legame tra disabilità e povertà anche nel nostro Paese», ha dichiarato Massimo Maggio, direttore di CBM Italia. «Da qui l’idea di questa ricerca sociale che desideriamo mettere a disposizione di tutti coloro che si occupano di disabilità, come strumento utile per favorire la cultura dell’inclusione».
L'isolamento sociale
La ricerca ha coinvolto 272 persone in tutta Italia: di queste 6 su 10 hanno una sola tipologia di disabilità (fisica/motoria, intellettiva, sensoriale, psichica) e 9 su 10 sono in possesso dell'invalidità civile. Dal punto di vista economico sempre 9 su 10 vivono un disagio economico soggettivo, cioè riconoscono di arrivare a fine mese con difficoltà, e il 62% delle persone con disabilità vive in famiglie che non sarebbero in grado di far fronte con risorse proprie a una spesa imprevista di 500 euro. Analizzando le risposte fornite dal campione, l'aspetto critico che emerge maggiormente è quello legato all'isolamento nel quale si trovano a vivere queste persone: una su 6, infatti, non riceve alcun supporto dalle istituzioni e una su 4 non può contare su una rete informale fatta di amici, parenti non conviventi o volontari. Anche l'associazionismo, nonostante la sua presenza sul territorio, non sempre riesce a intercettare queste situazioni: solo il 45% del campione, infatti, fa parte di un’associazione che lo supporta, mentre il restante 55% non partecipa e, soprattutto nei casi di basso livello educativo, conosce poco o nulla delle opportunità esistenti e dei propri diritti.
Un solo caregiver senza aiuti
Una situazione che inevitabilmente finisce per ricadere interamente sulle spalle della famiglia e spesso di un solo membro di essa: nel 37% dei casi, infatti, c’è un solo caregiver a prendersi cura della persona con disabilità e in quasi un caso su quattro (23%) si tratta della madre. Un carico di lavoro e di responsabilità che ha ricadute di natura psicologica e fisica sul caregiver, soprattutto quando si tratta di una persona in età avanzata. In tutto questo, purtroppo, uno dei grandi assenti sembra essere il settore pubblico: se le prestazioni sanitarie a domicilio da parte della azienda sanitaria hanno aiutato solo una persona su 10, il 21% non ha ricevuto, negli ultimi dodici mesi, nessun altro intervento pubblico. Dal punto di vista economico, inoltre, almeno una su sei delle persone con disabilità coinvolte nello studio non riceve alcun aiuto (domiciliare, economico, sostegno all’inserimento lavorativo, centro diurno, …) da enti pubblici.
La richiesta di più servizi
Una mancanza di interventi che pesa molto e che viene sottolineata dagli intervistati: tra le mancanze maggiormente sentite figurano infatti l’assistenza sociosanitaria e quella sociale, rispettivamente indicate nel 39% e nel 37% dei casi, la mobilità (spostamenti verso l’esterno), indicata nel 25% dei casi, l’aiuto economico con il 24%, la socializzazione con il 23%, e il lavoro indicato in un quinto dei casi. In generale, evidenzia lo studio, emerge un senso di abbandono da parte delle istituzioni. «Il carico di cura grava prevalentemente sulla famiglia, che spesso non sente un adeguato sostegno dall’esterno per farvi fronte», si legge nella ricerca. «Avrebbero bisogno di più servizi, più qualificati, più flessibili, finalizzati anche a supportare le famiglie nel loro insieme e in particolare i caregiver su cui ricade primariamente il lavoro di cura. L’isolamento avvertito dalle famiglie può manifestarsi come deficit di conoscenza e consapevolezza rispetto alle opportunità e servizi presenti o esigibili, primariamente presso le istituzioni. In alcuni casi si osserva un atteggiamento di “rassegnazione” rispetto alle molteplici difficoltà affrontate, motivato dal senso di abbandono da parte delle istituzioni e della comunità in generale, soprattutto quando viene sperimentato per molti anni, con il conseguente affievolirsi della speranza e un acuirsi dei timori per il futuro”. La ricerca è disponibile sia nella versione completa sia in un abstract al seguente link: www.cbmitalia.org/ricerca-cbm-zancan/