- L’on. Ernesto Preziosi, deputato del Pd, e’ stato vice-presidente dell’Azione Cattolica Italiana.
On. Preziosi, i cattolici in politica sono subalterni?
“C’è senz’altro un difetto di elaborazione culturale e politica da parte dei cattolici che si impegnano in questo campo. Mi spiego: a fronte di un ricco magistero che la Chiesa esprime, anche nel campo sociale, manca esattamente quella mediazione culturale che i credenti debbono operare nelle varie fasi della storia, sotto la propria responsabilità, cercando di raccogliere su questa sintesi e sulle proposte e progetti che da essa conseguono, il necessario consenso.
La sintesi è un nuovo partito?
“Si può porre la questione, ma per come si è evoluta la situazione italiana noi oggi ci troviamo di fronte ad un contesto plurale in cui la presenza dei cattolici è diffusa. Non ritengo che questa situazione di per se generi l’irrilevanza e la subalternità. Perché nulla impedisce che la presenza di un ‘cattolicesimo politico’ possa essere un fermento efficace capace di individuare mete, costruire proposte e di creare consenso, lavorando in Parlamento”.
Ma lei allora crede o no ad un contenitore politico di ispirazione cristiana?
“Personalmente ritengo che l’essere presenti in più contenitori o il fondare un partito che si ispira esplicitamente al pensiero sociale cristiano non sia una scelta da fare a tavolino ma deve nascere da una lettura della situazione storica. Non è un dogma l’unità politica dei cattolici, come non lo è neppure la loro divisione. Dipende dal momento storico, dalle risposte che vogliamo dare all’agenda del Paese”.
Ma la gente non va più a votare, quindi c’è poca offerta politica. Non è questo un buon motivo per proporre una ''Cosa'' che si ispiri al cattolicesimo politico?
L’astensionismo è motivo di seria preoccupazione. E non possiamo essere confortati sostenendo che è il trend presente da tempo in altre nazioni occidentali. L’astensionismo denuncia un oggettivo indebolimento del processo democratico di un Paese quando vi partecipa un numero sempre più limitato di persone. La politica deve fare un esame di coscienza e correre rapidamente ai ripari. Al ‘cattolicesimo politico’ è chiesto di entrare in contatto e in sintonia, con quella parte consistente del non voto che può essere ascritta all’area cattolica. Qui - e poi nell'intero corpo elettorale - si apre uno spazio di proposta. Ma prima di un nuovo contenitore, prima di ogni leadership è necessario un progetto”.
Il documento della Settimana sociale di Reggio Calabria poteva essere la base del progetto e venne applaudito da tutti, ma poi è rimasto lettera morta. Non è la dimostrazione che la 'diaspora' dei cattolici porta solo alla irrilevanza dei cattolici in politica?
“Dopo Reggio Calabria è stata messa la sordina sui contenuti dei laboratori e del documento e gli sforzi si sono orientati solo sulla creazione dell’evento seguente. È una prassi da correggere. Noi scontiamo un’oggettiva debolezza del cattolicesimo di base, nelle parrocchie, nella base delle associazioni e dei movimenti per quanto riguarda il pensiero sociale cristiano. E non mi riferisco solo alla dottrina, anch’essa ben poco conosciuta, ma all’applicazione concreta di quel pensiero, alle sue mediazioni, al giudizio storico sulle situazioni. Quello che occorre è una sorta di rialfabetizzazione di base del cattolicesimo sui grandi temi sociali. I cattolici impegnati in prima persona in politica si devono poter confrontare, con stima e rispetto reciproci, e cercare soluzioni possibili, in ordine ai progetti e ai contenitori, con la comunità cristiana, ma essa deve, secondo la propria responsabilità prendere coscienza delle urgenze della società. Anche perché in democrazia, un progetto ha bisogno di consenso”.