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lunedì 10 febbraio 2025
 
Medio Oriente
 

Prima notte di tregua, parla il parroco di Gaza

20/01/2025  Padre Romanelli: «Un silenzio che non sentivamo da tempo. Una boccata d'aria, ma adesso lavorare per arrivare alla pace»

«È un primo inizio importante, anche se fragile. Questa notte è stata senza interruzioni. Abbiamo dormito senza essere svegliati dalle bombe, dalla paura delle schegge, dal rumore dei droni». Padre Gabriel Romanelli, parroco della Sacra Famiglia, a Gaza, commenta la prima notte passata nella Striscia dopo l’inizio della tregua. «Un primo passo», ripete, «che porterà alla liberazione di 33 ostaggi israeliani e di centinaia di prigionieri palestinesi. Bisogna però anche dire che non si parla ancora di frontiere e della possibilità per le persone di poter ricostruire».

La gente sta tornando nelle proprie case?

«Tante case sono state ridotte in macerie, altre non hanno i servizi essenziali. E comunque in pochissimi sono riusciti ad avvicinarsi alle proprie case perché è considerata ancora zona militare. C’è bisogno dell’aiuto internazionale per ricostruire, per rifare il sistema di fognatura, quello dell’acqua, dell’elettricità. Anche se di questo ancora non si parla, la tregua è una boccata di aria fresca, di speranza».

Qual è il desiderio più grande?

«Vedere dove era la loro casa, ma anche andare al porto per pescare, per vedere il mare. Le autorità israeliane hanno detto che ancora non ci si può avvicinare. Dopo più di un anno, tutti avrebbero desiderio di andare a vedere. Gaza è bellissima, è sul Mediterraneo, con lo stesso panorama di Tel Aviv, con le sue spiagge, l’aria marina… Anche questo è un segno che, seppure un passo importante, la tregua non è sinonimo di pace, non ancora».

La sera prima avete sentito il Papa?

«Ci sentiamo tutti i giorni, la sera prima del cessate il fuoco ci ha voluti sentire in video chiamata. Tutti i rifugiati erano qua per salutarlo, per dirgli grazie e lui ha detto che era un passo importante, che la pace sta arrivando».

Stanotte com'è stata vissuta in parrocchia?

«Bene. Dopo una giornata stata stranamente silenziosa, in cui si siamo stupiti di non sentire neppure i droni di controllo se non un po’ la sera, abbiamo ringraziato il Signore. È stata una notte serena, non ci siamo risvegliati per i bombardamenti, non abbiamo tremato perché cadevano le schegge… E poi abbiamo ricevuto gli aiuti del patriarca latino di Gerusalemme: frutta e verdura. Tutti i nostri giovani si sono subito messi al lavoro ieri sera e stamattina per fare i sacchetti da distribuire alle migliaia di famiglie che sono nella parte più antica della città, la più povera».

Cosa farete adesso?

«Per prima cosa continuiamo a pregare, a ringraziare il Signore . Già ieri abbiamo fatto tre messe di ringraziamento. Poi continuiamo ad aiutare i rifugiati, con la routine di questi mesi. Aiuto materiale e spirituale. Ogni giorno facciamo l’ora santa, la messa con l’omelia, e i gruppi pastorali per la lettura della Bibbia, quello di San Giuseppe per gli uomini e quello di Sant’Anna per le donne, abbiamo l’oratorio per i ragazzi e poi facciamo lezione. Le scuole sono state bombardate e, finché non saranno ricostruite non possiamo riaprire come un tempo. Prima della guerra avevamo tre scuole cattoliche con 2.250 alunni. Adesso facciamo lezione per i rifugiati nelle tende. E poi facciamo le cose di tutti i giorni, il bucato, la cucina, la pulizia. Tutte cose che ci aiutano ad andare avanti».

Ma c'è qualcosa che soprattutto i cristiani possono fare per rafforzare la tregua e arrivare alla pace?

«Sì, innanzitutto pregare e far pregare, offrire sacrifici perché la pace è un dono del Signore. La pace include la conversione dei cuori, quindi è un atto sommamente divino per il quale dobbiamo invocare il Signore. In secondo luogo dobbiamo chiedere, a chi ha più potere ed influenza, che sia rispettata questa tregua, anzi che si accorcino i giorni di tregua per dare spazio a una pace vera e alla ricostruzione. Tante analisi internazionali dicono che, per portare via le macerie e ricostruire Gaza ci vorranno 14 anni, allora meglio cominciare prima senza perdere altri mesi. Dobbiamo parlare di pace, per il bene della Palestina e di Israele. La maggiorparte della gente è civile e vuole la fine della guerra, hanno bisogno di tornare a vivere, ma non come era prima di quel terribile 7 ottobre. Gaza era una prigione a cielo aperto, non bisogna tornare  come prima. Ci vuole libertà, aprire le frontiere. In terzo luogo continuare con l’aiuto materiale. Nel caso nostro, il canale più sicuro è attraverso la diocesi del Patriarcato Latino di Gerusalemme. Quindi, lo dico anche ai vostri lettori, rispondete all’appello del patriarca per fare arrivare, attraverso la Chiesa Cattolica, cibo, acqua, medicine, vicinanza».

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