La vita è tutta un quiz cantava Nino Frassica al tempo di Indietro tutta.
Chissà se immaginava di dire qualcosa di profetico. Che la vita degli
studenti del 2013 sia tutta un quiz pare, comunque, oramai innegabile:
si è cominciato giusto al tempo di indietro tutta con i test d’ingresso
alle prime facoltà universitarie a numero chiuso, per arrivare all’oggi,
in cui la vita scolastica di ogni ordine e grado è punteggiata dalle
scadenze periodiche del test Invalsi.
Il principio è logico e meritorio: un sistema esterno uguale per tutti
che valuti gli studenti secondo uno standard simile a quello delle
valutazioni internazionali, come il Pisa-Ocse per intenderci, utile a
capire a che punto si sta, che cosa funziona e che cosa no. Un
monitoraggio dell’efficacia del sistema-scuola che dovrebbe servire a
mettere a punto correttivi per i punti deboli e a consolidare i punti di
forza.
Al di là delle critiche che si possono muovere al test come metodo,
che pure hanno un fondamento, per esempio nel fatto che funziona bene
se si tratta di valutare nozioni un po’ meno se si tratta di monitorare
il senso critico, il rischio è scatti l’asia da prestazione. Accade
infatti che al dirigente scolastico interessi il buon nome della scuola,
all’insegnante il successo del proprio lavoro, al genitore la buona
riuscita del proprio pargolo.
In teoria tutto bene: tendono tutti al fine comune. In pratica
però sta avanzando il pericolo che il test diventi il fine e non il
mezzo con cui prendere atto di quel che funziona o non funziona. E
infatti corre voce che stia prendendo piede l’abitudine di somministrare
agli studenti dosi massicce di test simil-Invalsi per allenarli.
Col rischio di dedicare alla simulazione del test le ore di
studio e di scuola che andrebbero dedicate ai contenuti che il test
dovrebbe valutare. Un po’ come se un istruttore di guida
facesse ripetere decine di volte al suo allievo un percorso che sappia
essere simile a quello dell’esame, preoccupandosi più del buon esito
dell’esame che della reale capacità di affrontare gli incerti del
traffico. Un po’ come quelli che si mettono a dieta prima delle analisi,
sperando di schivare il rimprovero del medico. Come se il fine fosse il
passaggio critico della valutazione e non, invece, la realtà con cui ci
si confronta dopo.