Lungo questi anni di collaborazione con la rivista Credere, ho prestato particolare attenzione alle domande della gente e alle domande che percepivo davanti alle situazioni della vita.
Ciò che ho imparato però è che dietro questi molteplici interrogativi si cela, non sempre in maniera esplicita, anzi per lo più non riconosciuta, la domanda sul senso della vita. Quello che tutti noi in fondo ci chiediamo è se valga veramente la pena vivere e perché. Cerchiamo una motivazione, una spinta. A volte intravvediamo questa motivazione e la vita acquista energia. A volte la perdiamo e facciamo fatica a ritrovarla.
Uno sguardo sulla realtà ci porta forse a comprendere che il senso della vita potrebbe essere ritrovato in quell’atteggiamento che chiamerei restituzione o consegna. In effetti tutto quello che abbiamo e siamo, poco o tanto che sia, non ci appartiene mai. Tutto è un dono: la vita, le relazioni, la vocazione, i ruoli, il corpo. E non c’è nulla che possiamo trattenere, perché qualunque cosa ci può essere tolta in qualsiasi momento. Anzi, l’infelicità nasce proprio nel momento in cui ci attacchiamo a una di queste cose, illudendoci di poterne disporre come vogliamo.
Se contempliamo tutto quello che abbiamo ricevuto e tutto quello che in ogni istante continuiamo a ricevere, perfino il respiro di questo momento, nasce in noi un senso di gratitudine.
Già questo è un modo diverso di vivere la vita: non come lamento, ma come ringraziamento. Ma proprio perché è nella natura delle cose non poter trattenere, possiamo aprirci a un atteggiamento di riconsegna verso Colui che è la fonte di ogni dono. Tutto ritorna a Dio. Lo aveva ben compreso anche Francesco d’Assisi quando chiede di essere seppellito nudo nella nuda terra: è la restituzione a Dio, il senso della vita.
L’illusione nasce dal fatto che noi interpretiamo, nelle istituzioni umane, il dono come proprietà. Nei doni che provengono da Dio però non è così e i doni che vengono da Dio includono tutto. Noi siamo chiamati ad accogliere, a gioire e valorizzare, rimanendo nella libertà di chi è povero, perché non ha niente se non quello che ha ricevuto in prestito.