Si parla di aborto e scoppia immancabile la polemica. Stavolta a provocarla è stato il mega-manifesto fatto affiggere nei giorni scorsi a Roma dall’associazione ProVita nell’ambito di una campagna di sensibilizzazione a 40 anni dalla legge 194 sull’aborto: un tazebao di sette metri per undici d’altezza, sulla parete di un edificio di via Gregorio VII con una gigantografia di un bambino nel grembo materno. Titolo: “Tu eri così a 11 settimane” e ancora delle “didascalie” recitanti: “Tutti i tuoi organi erano presenti”, “Il tuo cuore batteva già dalla terza settimana dopo il concepimento”, “Già ti succhiavi il pollice”.
Il messaggio è chiaro e dice una cosa inoppugnabile: in quei cinque centimetri c’è un bambino, con la sua testa formata, un corpo nel quale pulsa un cuoricino, quello che fa sobbalzare i genitori che ne ascoltano il battito all’ecografo; con braccia e gambe, mani e piedi già ben definiti, come lo sono tutti gli organi interni. La scienza medica ci spiega che a quello stadio di gravidanza il bambino è in grado di sbadigliare, deglutire e succhiare. Insomma, niente più che l’affermazione di una semplice realtà biologica. Sotto l’immagine l’ultima frase: “E ora sei qui perché la tua mamma non ha abortito”, che invece è un’ovvietà, sebbene volutamente provocatoria nell'era del politicamente corretto.
Apriti cielo: sul manifesto s’è abbattuta una grandinata di critiche, commenti sprezzanti sui social e attacchi d’artiglieria pesante: “Immagini offensive”, “vergognose”, nei confronti delle donne e della Capitale, “messaggio crudo e violento”, “toni aberranti”, e a seguire richieste da parte del Pd e di Lista Civica del consiglio comunale capitolino per chiedere la rimozione immediata del cartellone. Non ci stupirebbe un sit-in di protesta pro-aborto, sotto il manifesto da mettere al rogo. Una reazione astiosa che ne ha causato la rimozione, ma che probabilmente si rivelerà un boomerang per chi l’ha provocata: della campagna di ProVita che magari correva il rischio di passare inosservata, ne hanno già parlato milioni d’italiani e i media. E per questo ProVita ringrazia sul sito.
Facciamo nostre alcune riflessioni del professor Robert Cheaib, docente di Teologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, che su Facebook commenta: “Cosa c'è di vergognoso, oltraggioso, criminale, crudele nel dire che a tre settimane dal concepimento il tuo cuore batte? O che già ti succhiavi il dito? (…). Non è stato esposto come vengono sbrindellati i corpi dei non-nati, come vengono bruciati con iniezione salina. Non si è parlato degli effetti traumatici comprovati sulle donne che hanno abortito.(…). Sono state solo affermate cose evidentissime (scientifiche e logiche), con il diritto di parola che - come si deduce - spesso viene difeso a spada tratta da chi vorrebbe negarlo ad altri. Crea scalpore la verità perché - come già diceva Kierkegaard - l'uomo teme più la verità che la morte”.
Forse l’ultima frase del manifesto non chiarisce del tutto che molto probabilmente nessuna donna abortirebbe, se non fosse costretta, violentata, lasciata in totale solitudine, vinta dalla più nera delle disperazioni; e, ancora, se la comunità, le istituzioni, i servizi sociali non avessero abortito, quelli sì, il loro compito di aiutare una futura madre a sorridere nel mettere al mondo un figlio. Perché purtroppo, ancor oggi, nel 2018, in Italia, una donna può trovarsi nella terribile condizione che per diventare madre è costretta a compiere un vero e proprio atto di coraggio, contro tutto e contro tutti.