Cari amici lettori,
la vicenda di Paderno Dugnano, con un’intera famiglia – papà Fabio, mamma Daniela e il 12enne Lorenzo – sterminata dal figlio più grande, il 17enne Riccardo, continua, lo confesso, a girarmi dentro e a inquietarmi, nonostante i giorni trascorsi dal delitto. Ci siamo chiesti e continuiamo a chiederci perché, cercando cause remote e vicine, riflettendo – giustamente – sul disagio giovanile (vedi anche il nostro servizio a pag. 10). Giusto, ne abbiamo bisogno. Ma abbiamo bisogno anche di trovare un senso, di «decifrare il mistero», come ha fatto – con molto tatto e delicatezza, facendo ricorso all’immaginazione – l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, che ha tenuto l’omelia il giorno del triplice funerale lo scorso 12 settembre.
Delpini si è calato nei panni delle tre vittime, immaginando poeticamente come ognuna di esse risponda alle domande che Dio rivolge loro quando si presentano davanti a Lui. Confesso che le parole mi hanno commosso, come immagino che abbiano emozionato i presenti in chiesa. Mi sono ricordato di un’omelia ascoltata a un funerale di un uomo poco più che quarantenne, in cui il parroco, con parole semplici quanto sentite e “benedette”, ha declinato il nostro “smarrimento” ma anche la speranza ancorata dalla Parola di Dio.
Per la risposta del piccolo Lorenzo, l’arcivescovo ha immaginato la preoccupazione per il fratello omicida: «Come farà senza di me Riccardo, il mio fratello grande, il mio fratello intelligente? Ecco io voglio stargli vicino sempre, io voglio consolare le sue lacrime, voglio calmare i suoi spaventi, voglio sperare con lui e per lui». In bocca a mamma Daniela ha messo l’amore e il mistero: «La mamma mette al mondo e lascia partire i figli per la loro strada, ma io continuerò ad abitare il mistero, voglio ostinarmi a seminare una scintilla di luce, anche nel buio più cupo, voglio stare vicino a Riccardo per continuare a rassicurarlo di fronte al mistero». E a papà Fabio fa dire: «Il mio Riccardo non ha ancora imparato a esprimere in parole quello che dentro l’animo si agita, si aggroviglia, si raggela. Voglio stare vicino a Riccardo e aiutarlo a dire le parole giuste, a dare il nome giusto alla vita, anche al dolore, anche alla rabbia».
Nelle parole di tutti e tre trapelava il mistero della risurrezione, della vita in Dio: «Ecco, sono vivo e voglio cantare la vita, perché sono qui con te, Signore Dio!», «nel mistero abiti tu, Signore Dio, e io sono con te!»; «Ecco: sono vivo presso di te, Signore, per avere una parola da dire al mio Riccardo». Sulla scorta della Parola di Dio, l’arcivescovo ha provato così a «decifrare l’enigma», raccogliendo da Lorenzo, Daniela, Fabio «il cantico della vita e della speranza giovane di un fratello, l’intensità dell’amore misterioso di una mamma e la responsabilità della parola vera di un papà». Pietas, parole di amore, di perdono, di speranza, di cui abbiamo bisogno e che giungono come un balsamo. Non so se ci rendiamo conto di quale riserva di speranza c’è nella fede cristiana. Anche di fronte al male che non riusciamo del tutto a “razionalizzare”, anche nel mistero che ci avvolge, la speranza può fare capolino come una “luce gentile” e aiutarci a vivere il presente che ci è dato e a illuminarlo anche per chi ci è vicino.