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venerdì 29 settembre 2023
 
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«Quelle parole sulla dignità del lavoro che mi ha scritto papa Francesco»

13/08/2021  A colloquio con lo scrittore Maurizio Maggiani, destinatario di una missiva personale dal pontefice: «Mi ha commosso quella firma così piccola, simbolo della sua umiltà, ho dovuto usare la lente di ingrandimento per leggerla, questo è il senso. Propone l'obiezione di coscienza di fronte allo sfruttamento, proprio come don Milani»

papa Francesco.
papa Francesco.

Lo scrittore Maurizio Maggiani nella sua rubrica domenicale sul quotidiano genovese Il Secolo XIX solleva e affronta il caso del presunto sfruttamento di lavoratori stranieri pachistani – ma comunque generalizzato - emerso con l’indagine giudiziaria in cui era coinvolta anche la tipografia “Grafica Veneta”. Lo scrittore, che nei suoi libri racconta le storie di chi in genere non è ascoltato, si interroga, rivolgendosi proprio a papa Francesco, se vale la pena di scrivere storie «con l’ardore delle migliori intenzioni che vorremmo ricche di bellezza» se poi per offrirle al pubblico si deve ricorrere al lavoro degli schiavi. Quanto costa moralmente tutto questo? La dignità ha un prezzo? Ma soprattutto, ce ne rendiamo conto o gli occhi preferiamo chiuderli? Diventando quindi complici. E ancora, ci può essere bellezza e cultura laddove si sfrutta il lavoro? Una presa di posizione forte, coraggiosa che parte da uno scrittore attento, che rompe il muro del silenzio. Che non può lasciare silenti. E Papa Francesco risponde, con una lettera pubblicata sul Secolo XIX. Francesco si sofferma su lavoro e dignità. Cita Dostoevskij. La cultura non si può lasciare soggiogare dalla logiche (spesso incomprensibili a livello etico) del mercato perché il silenzio sul “lavoro schiavo” diventa complice. Questo il punto focale della questione.
 

Si aspettava la reazione del Papa?

«No, come potevo? Ho settant’anni, ho vissuto molto, ma ancora sono capace di emozionarmi. E lo sono. È difficile ragionare. Ero certo però che il Papa fosse l’unico in grado di farlo, in grado di rispondere. Ed è anche terribile questo, che il Santo Padre sia l’unico che può rispondere».

 Nel silenzio troppe volte assordante della società civile, perché il Papa è l’unico che poteva rispondere?

«Quindici giorni dopo, la domanda che avevo posto al Santo padre l’ho posta ai miei colleghi, a chi “vissi d’arte vissi d’amore, non feci mai male ad anima viva!”, ha presente? Glielo dico citando La Tosca. Non ha risposto nessuno. Mi sarei augurato una risposta dalla politica, dalla società. Invece niente. L’unico uomo oggi in grado di testimoniare con la parola sui temi più importanti, quelli della vita e della morte,è il Papa della Chiesa di Roma. La sua risposta ha un valore ancora maggiore quindi. Nessun altro parlante la lingua italiana mi avrebbe potuto rispondere come lui».

Chi le ha comunicato la risposta del Papa?

«Un fattorino della Dhl direttamente qui in Romagna, dove mi trovo in vacanza. Il mio direttore mi chiese l’indirizzo perché forse il Papa avrebbe risposto. Ho riscritto il nome sulla traghetta della posta e sul campanello perché si vedeva poco. Mi è stata consegnata una busta anonima, senza mittente. La lettera al suo interno aveva, invece, la carta intestata. E il fattorino non sembrava l’arcangelo Gabriele, ma era un signore di colore, senza le ali».

Ancora una volta la risposta arriva dal mondo religioso…

«Sì, una forte testimonianza. Un grande martire se martire significa per l’appunto testimone».

Cosa significa la parola “lavoro” oggi?

«Dignità. Poter vivere. Avere il diritto di poter vivere con gioia e speranza la propria vita e quindi la propria attività. Io sono figlio di un operaio e ho imparato da mio padre la dignità del lavoro. Che è frutto del rispetto per il lavoro. Mio padre era rispettato, era un buon lavoratore. Sono stato educato dopo la guerra da un padre e una madre che si sono risollevati dalle macerie pensando che io non avrei visto nulla di quello che loro avevano visto».

Oggi è ancora così?

«No, per la gran parte dei lavoratori.  Non è forse nemmeno richiesto di lavorare bene. È richiesto di lavorare e basta e di farlo al minor prezzo possibile e nelle peggiori condizioni possibili. Centinaia di milioni di umani accettano delle condizioni che sono disumane, che trent’anni fa non erano immaginabili e oggi invece lo sono come lo erano nell’Ottocento».

Lavoro schiavo è una parola forte, che scuote la coscienza…

«Ma è così. Pensiamo a quanti stanno morendo per il loro lavoro perché non gli vengono date le condizioni minime di sicurezza, di umanità.  Sono morti anche ieri due uomini, ieri l’altro una giovane donna e così via. Come si può pensare che ci sia cognizione del valore della vita in tutto questo».

Cosa vince oggi?

«Non voglio saperlo perché la risposta sarebbe terribile per me. Io credo fermamente che la storia non finisca mai, quindi il vincitore e il vinto non sarà di oggi. Ci sono delle sconfitte sì, quotidiane, ma la storia non è finita, non è questo ciò che deve essere. Sono fiducioso in un finale diverso. Non posso immaginare di vivere in un mondo immobile in questa condizione. Anche il Papa non lo pensa. E come Lui non lo pensano tutte le brave persone, quelle che lavorano per la vita e non per la morte, e non sono pochissime. Ci sono milioni di piccoli fuochi accesi, ovunque».

L’amore è un tema a lei caro. C’è amore oggi nel mondo? Il Covid ci sta insegnando qualcosa?

«Non credo. No, no. Forse noi lo pensavamo. Pensavamo che solo insieme si potesse uscire da questa sofferenza, ma non mi sembra sia così oggi. Era una grande speranza il rinsaldarsi delle relazioni umane, dei sentimenti di solidarietà e di cura reciproca. Ma non mi pare si sia avverata perché abbiamo più in mente la morte che la vita. Ci ossessiona la morte ma non abbiamo abbastanza forza per consegnarci alla vita, per dedicarci ad essa».

Qual è l’insegnamento più forte di Papa Francesco ai giovani?

«La sua opera più impattante, più contundente è stata per me Laudato sì, sulle relazioni tra l’uomo e l’universo dei viventi. La lettera che mi ha spedito porta la sua firma ma ho dovuto prendere una lente di ingrandimento per leggerla, è piccolissimo il nome Francesco. Questo è il senso.Il passaggio che più l’ha colpita?

«Certamente la proposta dell’obiezione di coscienza di fronte agli oggetti dello sfruttamento, dello schiavismo. L’invito all’obiezione di coscienza don Milani lo fece cinquant’anni fa e rischiò per questo di andare in galera. Ma c’è sempre la necessità di opporre la propria coscienza al dolore, all’ingiustizia.

 

 

 

 
 
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