Cari amici lettori, ha avuto luogo pochi giorni fa la “missione di pace” del cardinale Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, delegato dal Papa ad andare in Russia (dopo essere stato prima in Ucraina da Zelensky), dove ha incontrato il patriarca di Mosca Kirill e altre personalità del Cremlino (ma non Putin). Ne parliamo al nostro interno a pag. 10 con la storica Simona Merlo.
Molti si saranno chiesti: a cosa serve “tenere la porta aperta” con due contendenti che non desiderano una mediazione e, anzi, vanno avanti con nessun altro obiettivo se non schiacciare l’altro e vincere? Ha senso, di fronte alla dura realtà dei fatti, “osare” qualcosa di diverso che sembra la lotta di don Chisciotte contro i mulini a vento? Se guardiamo con gli occhi della Realpolitik (pragmatismo politico), è difficile dare torto a chi è scettico, dopo oltre un anno di guerra. Ma l’iniziativa vaticana, voluta dal Papa e affidata a Zuppi, è ispirata evidentemente a un’altra logica, che è quella della fede e della speranza cristiana. E mette a nudo come ci sia “carenza di visioni”, come sostiene ad esempio Andrea Riccardi nel libro, appena uscito, Il grido della pace (San Paolo). La logica vaticana è quella sotterranea di tanta parte della Bibbia: Abramo che parte non sa per dove per un futuro di cui non conosce l’esito, sulla sola fiducia nella parola divina….
E via via giù, fino a Gesù che vede possibilità di vita e di rinascita in persone o situazioni su cui altri hanno già messo, come si dice, una “croce sopra”. La fede cristiana fa proprio questo: spes contra spem, come dice il latino, spera contro ogni speranza. Che vuol dire anche “vedere l’invisibile”, come dice la Lettera agli Ebrei (11,1). È lo stesso spirito dei profeti che hanno visioni di pace e di speranza quando la realtà sembra smentirle totalmente (Isaia 2,1-4). In questo senso, la scelta vaticana è di “osare”, con realismo cristiano, valorizzando i piccoli spiragli su cui si può lavorare: le questioni umanitarie (scambio di prigionieri, i bambini ucraini rapiti dai russi…). «Beati gli operatori di pace», dice Gesù: coloro che operano per la pace, per la riconciliazione.
La speranza comporta anche fare i conti con tempi lunghi, di “martirio” della pazienza (per citare l’espressione del cardinale Agostino Casaroli quando lavorava per la distensione tra Est e Ovest ai tempi della Guerra fredda). Pazienza, speranza, porte aperte. Cosa che Francesco ha ripetuto più volte: con chi si dialoga se non si tengono le porte aperte (o almeno socchiuse)? L’iniziativa vaticana, dall’apparenza così “perdente” agli occhi dei realisti, è una lezione di fede cristiana anche per tutti noi. Quante sono le situazioni quotidiane di “convivenza difficile” che si potrebbero sbloccare esercitando la speranza (di ciò che ancora “non esiste”), una vera pazienza, una autentica apertura a posizioni diametralmente opposte? «Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia» (Lettera di Giacomo 3,18). Se si “osa” seminare, potrà venire anche il tempo del raccolto.