Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
venerdì 08 novembre 2024
 
 

Ricciardi (EducAid): "Su Gaza una punizione collettiva"

14/07/2014  Il project manager di EducAid, Ong italiana che lavora nella Striscia di Gaza, descrive la drammatica situazione dei palestinesi.

Centoventuno morti, di cui il 77 per cento civili (21 sono bambini), 924 feriti, di cui almeno 500 gravissimi, 512 case completamente distrutte, così come 7 moschee, 25 edifici pubblici, 25 cooperative agricole, 7 centri educativi; danneggiati un ospedale, tre ambulanze, 10 scuole e 6 centri sportivi. Per gli israeliani sono “danni collaterali”.

Per la popolazione di Gaza è un massacro. Per i cooperanti stranieri, che in Palestina lavorano, è una violazione intollerabile del diritto umanitario internazionale.
Dall'8 luglio, quando, alle una e 22, è iniziata l'operazione militare “Protectice Edge”, Israele ha bombardato 950 volte la Striscia. Dall'altra parte, i “famigerati” razzi palestinesi hanno causato 123 feriti, di cui uno grave. Pur nel rispetto delle sofferenze di tutti, quello che balza all'occhio è la sproporzione, lo squilibrio tra la capacità di offensiva di Israele, forza occupante, e la capacità di difesa di una popolazione occupata.

A Gaza non ci sono rifugi, è una trappola a cielo aperto per un milione e 800mila persone. “Nessuno sa dove scappare, perché nessun luogo è sicuro – dice Luca Ricciardi project manager di EducAid, onlus riminese che opera a Gaza dal 2003 -. Israele mira alle case e la gente viene avvisata da un sms con pochissimo preavviso”.

Tutti i cooperanti sono al momento fuori dalla Striscia, in attesa di poter rientrare. Dalla West Bank  dove si trovano, hanno diffuso una mail, per fare chiarezza sulla situazione, lamentando un'informazione parziale, schierata sul fronte israeliano. “Basta con chi dà del terrorista ad un'intera popolazione, senza mai aver voluto ascoltare le voci di Gaza – si legge nella nota -. Siamo operatori umanitari e condanniamo la violenza verso i civili, sempre (…). Riteniamo inaccettabile che la risposta all'omicidio di tre giovani coloni, avvenuto in circostanze ancora ignote, sia l'indiscriminata punizione di una popolazione civile indifesa (…). Il governo israeliano sostiene di voler colpire gli esponenti di Hamas (a cui ha addossato la responsabilità dell'uccisione dei tre giovani coloni) e le strutture militari. E' davanti agli occhi di tutti che ad essere colpiti finora sono soprattutto donne e bambini”.

“Nel 2012, Israele bombardava i luoghi da dove pensava partissero i razzi. Oggi, invece, gli obiettivi sono volutamente civili – incalza Luca -. La situazione è davvero drammatica, ci raccontano i nostri amici gazawi. Tanto che anche le Nazioni Unite stanno valutando di considerare questo attacco su Gaza un crimine contro l'umanità”.
Infatti, le Convenzioni di Ginevra vietano le punizioni collettive, definite crimini di guerra.

- Che posto è Gaza? La si immagina come un perenne ammasso di macerie.
“In realtà, non c'è uno scenario da guerra endemica. Le strutture ci sono. E' evidente che questi attacchi massicci lasciano il segno. Il problema è far entrare i materiali per ricostruire. Nel 2012, il presidente egiziano Morsi teneva aperto il valico di Rafah che, invece, con al-Sisi è stato chiuso. L'hanno aperto ieri (11 luglio) per qualche ora, per permettere l'evacuazione dei feriti gravissimi. Solo 11 persone, gazawi con cittadinanza egiziana. D'altra parte, il valico di Erez, che collega la Striscia con Israele, è chiuso per i palestinesi dal 12 giugno, subito dopo il sequestro dei tre ragazzi ebrei”.

- Ci sono ospedali?
“Sì, ci sono, ma sono ormai al collasso. Uno è stato danneggiato. La cooperazione italiana si sta attivando per inviare medicinali, così come gli ospedali della Cisgiordania. Gli israeliani volevano colpire anche l'ospedale di Rafah, l'avevano annunciato, sparando 4 missili in prossimità, preludio ad un attacco. Ma alcuni attivisti sono entrati nella struttura, intenzionati a fare da scudi umani, e la minaccia è rientrata”.

- La popolazione cosa pensa di Hamas?
“Hamas non è un governo democratico, ma loro dicono: 'quando c'è un attacco in corso, noi ci sentiamo un'unica popolazione sotto le bombe'. Israele ha fatto volantinaggio dal cielo, per inculcare nella gente che la colpa dell'offensiva israeliana è di Hamas. Ma la popolazione non ha 'abboccato', sa che questi attacchi sono contro i civili e hanno l'obiettivo di mettere nel panico un'intera popolazione. Si tratta sempre di attacchi molto violenti – quello in corso, sempre più  assomiglia a Piombo Fuso -, a distanza di due anni uno dall'altro. Soprattutto i bambini sono traumatizzati. A tre anni hanno già vissuto due guerre. Qualsiasi rumore, un piatto che cade, una porta che sbatte, li fa andare nel panico. Per questo, la nostra onlus ha realizzato a Gaza il “Ludobus”: un intervento di tipo psico-sociale che, attraverso il gioco, cerca di rafforzare la resilienza dei bambini”.

- L'Italia come si comporta?
“In maniera, per certi aspetti, schizofrenica. Da una parte, nella Striscia sono in corso alcuni progetti finanziati dalla cooperazione italiana. Dall'altra, il nostro governo ha venduto a Israele due cacciabombardieri. L'Italia, che per Costituzione ripudia la guerra, sta armando un Paese in guerra”.

- In Israele, invece, c'è pericolo?
“Il lancio dei razzi noi lo condanniamo perché si rivolge ai civili. Tuttavia, la situazione non risulta grave. A Gerusalemme suonano le sirene, ma la vita continua. Invece, è la Cisgiordania che ci preoccupa, perché si sta scaldando. Ci sono scontri ai check point e scontri nei campi profughi, dove l'esercito israeliano continua a irrompere, per fare retate e azioni intimidatorie. Perciò lì la situazione è molto tesa”.

- Ma Israele rivuole Gaza?
“Non credo, non le conviene controllare un lembo di terra di 60 chilometri per 40. Piuttosto, la percezione che si ha è che voglia ripetere il progetto di chiusura attuato a Gaza, anche nella West Bank: creare tante piccole enclave separate tra di loro. Un controllo militare serrato, ma che non si vede direttamente. Come a Gaza. Non i militari all'interno, ma tutto attorno”.

 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo