Si era detto, fatto studiare, ripetuto, «mai più». Dopo l’orrore della Shoah, si era detto «mai più», fissando a mente il monito di Primo Levi, «Meditate che questo è stato. Vi comando queste parole».
Invece, riappaiono le stelle di David, a marchiare porte, negozi. Crescono in maniera esponenziale le profanazioni di tombe, sinagoghe e gli inviti alla persecuzione. Abbiamo rivisto l’avvio di un pogrom, all’aeroporto della capitale del Daghestan, repubblica russa a maggioranza islamica. Il grido di migliaia di persone che assaltavano un aereo proveniente da Tel Aviv, era «uccidiamo gli Ebrei».
Nelle piazze delle nostre città le imponenti manifestazione per la Palestina libera accolgono cartelli e striscioni antisemiti, si bruciano le bandiere, come a rispondere al comando dei tagliagole di Hamas: «Mai la pace con Israele». Non sono tutti antisemiti i manifestanti, tanti hanno il cuore straziato per la morte di troppi civili palestinesi in questa guerra scatenata apposta per incendiare una reazione violenta.
Ma non si è vista nessuna manifestazione sotto le ambasciate dell’Iran, che da sempre vuole cancellare Israele dalla carta geografica, nessuna sotto le sedi diplomatiche di Turchia, Qatar, Algeria. Nessuna pietà per gli ostaggi innocenti nelle mani di terroristi, non di resistenti. Criminali, che hanno utilizzato il denaro piovuto a pioggia in modo miope o complice non per costruire scuole e ospedali e per sostenere la miseria del popolo di Gaza, ma per diramare 400 chilometri di tunnel, sotto le case, per comperare razzi e armi letali. L’attacco del 7 ottobre non è la rivolta dei civili palestinesi per rivendicare terra, libertà e giustizia: il fine è annientare lo Stato israeliano, con il silenzio di troppe autorità arabe, con i silenzi e le ambiguità di certa politica che da sempre considera le guerre d’Israele le peggiori, gli errori dei governi israeliani irreparabili, e che non ha alcuna sincera volontà di spendersi per la realizzazione del sogno “due popoli, due Stati”.
Delegittimazione, demonizzazione, doppio standard nei giudizi e nell’attribuzione di colpe (anche il sostegno alla causa ucraina, insomma, con un presidente ebreo...). Intanto, la caccia all’ebreo si è riaperta, in un livore che salda fondamentalismo religioso e ideologie di vecchia data, che lottano per ogni diritto ma sembrano scordare di essersi affiancati a chi i diritti li calpesta ogni giorno, violentando e uccidendo donne, omosessuali, oppositori politici. Le critiche alle azioni dei governi di Israele sono lecite, doverose. Il dolore per le morti, troppe, ingiuste, di tanta povera gente a Gaza sacrosanto, necessario ogni sforzo per la pace.
La caccia all’ebreo non c’entra. O meglio, c’entra sempre, da sempre, additarlo come emblema del male, come capro espiatorio. La caccia all’ebreo si è riaperta. E noi, studiando le leggi razziali, portando i nostri ragazzi in visita ad Auschwitz, continuiamo a ripetere «mai più».
(Immagine in testata di REUTERS)