Ascoltare Rula Jebreal raccontare a Sanremo, quasi in lacrime, perché la sua storia di vita ha ispirato in parte il suo lavoro e ha determinato chi è e chi è diventata ieri sera ha fatto la differenza. Tutti coloro che, di fronte all’annuncio della sua partecipazione al Festival, hanno trasformato la sua presenza sul palco dell’Ariston in una questione politica, si sono evidentemente dovuti ricredere. “Parlare contro” diventa facilissimo, oggi più che mai. Invece, se non ci fosse stata la giornalista palestinese ieri sera avremmo tutti perso un’occasione per riflettere, per emozionarci, per sentire il potere positivo delle parole. Per dire, per parlare, per commentare dovremmo prima di tutto conoscere i fatti, le storie, le vicende di ciò intorno a cui ci esprimiamo.
La parola dovrebbe essere un segno che lasciamo nel mondo, dopo averlo curato e coltivato nel profondo, ovvero con la parte di noi che costruisce i significati. Invece usiamo troppo spesso le parole come un adolescente maldestro usa un sasso che scaglia contro un vetro per fare una bravata e non sa che magari dietro quel vetro c’è qualcuno, che da quel sasso può venire ferito, danneggiato, leso. Proprio oggi il giornale riporta una storia che lascia senza fiato. Un vigile urbano si è tolto la vita dopo che i social lo avevano messo alla berlina per un parcheggio sbagliato. Un parcheggio che gli era costato una multa, su cui lui aveva fatto pubblica ammenda chiedendo scusa e facendo un’offerta ad un’associazione che si era ritenuta giustamente danneggiata dal suo errore. Ma la quantità di parole e offese spese intorno al suo errore, hanno trasformato il vigile nel suo errore.
Ha probabilmente cominciato a pensarsi non come un uomo che ha sbagliato, ma come un uomo sbagliato. E non ha retto. C’è così tanta vulnerabilità in noi. Alcuni la trasformano in aggressività. Altri in vergogna e in autolesionismo. In entrambi i casi le parole potrebbero avere il potere di confortare, aiutare, sostenere, proteggere, cambiare in positivo il corso degli eventi. E invece, troppo spesso le parole diventano sassi scagliati contro vetri. E purtroppo, quasi mai sappiamo chi c’è dietro quel vetro. Rula Jebreal ieri ci ha fatto vedere che i sassi lanciati contro il suo vetro non l’hanno scalfitta, perché lei era già stata aggredita dalla vita e aveva trovato la forza per diventare chi voleva diventare. Il vigile suicida è invece diventato ciò che le parole degli altri gli hanno fatto credere. In entrambi i casi, noi, tutti noi siamo i responsabili delle parole che buttiamo nel mondo. Parole che a volte costruiscono il mondo. Parole che a volte invece ne provocano distruzione.