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lunedì 24 marzo 2025
 
7 dicembre
 

«L'epidemia della paura non ha un vaccino, serve fiducia contro un declino che sembra inevitabile»

06/12/2023  Il “Discorso alla città” dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, per la festa di Sant’Ambrogio: «Il timore di sposarsi e di fare famiglia è un principio di tristezza e solitudine che rende desolata la vita della società». Richiama alla «responsabilità» di giornalisti e comunicatori. Sui migranti invita i politici a non «elaborare solo emozioni e paure» e invita a votare in primavera per le prossime elezioni europee

La fiducia come bene comune da coltivare e custodire. Perché senza di essa si può solo prendere atto del declino già in corso e non c’è nessun argine alla sfiducia e alla rassegnazione. La sfiducia è un virus che porta con sé “l’epidemia della paura”, il cui «vaccino per prevenire il contagio non è stato ancora trovato», e ipoteca il futuro, visibile in tanti segnali che non sono più episodici ma strutturali: la crisi demografica, la problematica educativa, il fenomeno delle migrazioni nel cuore di un’Europa definita «vecchia, saggia, ricca e sterile» e alla quale si rivolge direttamente: «Europa pensaci, svegliati, apri la tua mente e costruisci il futuro».

Nella Basilica di Sant’Ambrogio dove sono presenti i massimi rappresentanti istituzionali di Milano e della Lombardia, dal sindaco Giuseppe Sala al governatore Attilio Fontana, a numerosi primi cittadini, l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, pronuncia il tradizionale “Discorso alla città” alla vigilia della festa del Patrono.

La riflessione di Delpini prende le mosse dalla figura di don Abbondio che nei Promessi sposi dialoga con il cardinale Federigo Borromeo pronunciando la frase divenuta quasi proverbiale: “il coraggio, uno non se lo può dare”. Un esempio, quello del curato descritto dal Manzoni, da non seguire perché, chiosa l’arcivescovo, «crede di essere saggio pensando che il coraggio, uno non se lo può dare, specie in un contesto difficile di prepotenze, ingiustizie impunite, inaffidabilità delle istituzioni, noi crediamo che sia saggio darsi ragioni e condizioni per avere coraggio e praticare la fiducia. Per una comunità, per una città, per un Paese», prosegue Delpini, «la fiducia è una condizione irrinunciabile per una coesistenza pacifica delle persone, delle culture, delle religioni. La fiducia è un atteggiamento necessario per affrontare le sfide di oggi e per andare verso il futuro. La fiducia è l’antidoto per contrastare il declino della nostra civiltà. La fiducia è il rimedio all’epidemia della paura».

Il primo sintomo di questa epidemia è la crisi demografica: «Il desiderio della maternità e della paternità è un segno della chiamata a costruire il futuro, a dare compimento alla voglia di vivere generando vita. L’amore di un uomo e di una donna che si riconoscono affidabili l’uno per l’altra alimenta il desiderio di avere bambini, come esperienza della maturità dell’amore. Ma il virus della paura», nota Delpini, «scoraggia il sogno condiviso, induce a rimandare la decisione di avere bambini fino a che non ci siano tutte le garanzie che promettono di esorcizzare la paura. La crisi demografica ha una delle sue radici nella paura». Perché, continua l’arcivescovo, «la paura di sposarsi e di fare famiglia è un principio di tristezza e di solitudine che contribuisce a rendere desolata la vita della società e genera un circolo vizioso che rende ancora più radicata la paura».

La paura, continua Delpini, pur diffondendosi come «un’epidemia» oggi invece che essere riconosciuta «come una malattia, è giustificata da una forma di realismo». E si chiede chi è che convince la gente che «vere paura sia una forma di buon senso».

L'arcivescovo di Milano Mario Delpini nella Basilica di Sant'Ambrogio celebra i Primi Vespri con il tradizionale "Discorso alla città" (Ansa)

L’arcivescovo richiama il ruolo e la responsabilità di chi opera nel mondo della comunicazione e dei media: «Un contributo determinante per farsi un’idea di quello che succede è dato dalle notizie, dalla comunicazione», sottolinea, «per farsi un’idea di che cosa stia succedendo nel mondo, ma anche in città, sono decisive le notizie che i media scelgono e diffondono. Se i media, di tutto quello che succede, comunicano preferibilmente le notizie di episodi tragici, di comportamenti pericolosi, di problematiche spaventose, di prospettive preoccupanti, è comprensibile che l’immagine della realtà che si condivide, l’atteggiamento personale e il clima che si respira siano malati di paura. C’è, quindi, una responsabilità indeclinabile di coloro che operano nel campo della comunicazione».

Poi richiama anche il ruolo degli educatori, a partire da scuola e famiglia: «Se coloro che hanno responsabilità educative nell’ambito scolastico, ecclesiale e nelle forme diffuse di attività sociali e culturali professano un pessimismo abituale, un malumore radicato, una sfiducia generalizzata, un sospetto sistematico, è comprensibile che bambini e bambine, ragazzi e ragazze siano contagiati dal malumore, dalla sfiducia, dalla paura. C’è, quindi, una specifica responsabilità degli educatori in ogni ambito nell’incrementare il contagio della paura».

Per Delpini la vita quotidiana, che va avanti, è possibile solo perché c’è fiducia reciproca e nelle istituzioni anche se, accusa, «la comunicazione, la chiacchierata quotidiana, i discorsi pubblici stentano a nominarla».

E tesse l’elogio di «chi guida i mezzi pubblici. So che mi porteranno a destinazione». Dice di aver «fiducia nel panettiere e nel fruttivendolo: so che mi venderanno prodotti sani, nel cuoco e nel cameriere, so che mi preparano e mi servono un ottimo risotto alla milanese, nelle forze dell’ordine, so che dedicano tempo, intelligenza, fatica per garantire ordine e sicurezza in città, nel sindaco e nel tecnico del Comune, so che fanno in modo che la città funzioni, nei preti, so che sono dedicati a prendersi cura delle persone loro affidate».

Lo sguardo dell’arcivescovo si sofferma sul fondamento della fiducia, cioè il «confidare in Dio» anche se, sottolinea, «il fondamento trascendente della vita di ogni persona e della vicenda storica è censurato come un fastidio dall’ingenua presunzione del pensiero che si presenta come critico, ma che si deve riconoscere come riduttivo. Il riferimento a Dio è stato decisivo per uomini e donne di ogni religione e di ogni credo che hanno segnato la storia dei popoli. Per i cristiani il riferimento a Gesù, alla sua missione e al suo messaggio deve ispirare una fiducia che può essere invincibile, se la pratica cristiana non è troppo superficiale e convenzionale. Gesù accompagna i suoi discepoli anche nelle tempeste della vita con la sua presenza che infonde fiducia: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”».

Delpini richiama altre due “ricette” per uscire da questo stallo: la ragionevolezza del dialogo e della collaborazione e la responsabilità nel tessere «alleanze costruttive», richiamando il fatto che «ciò che ende alleati per il bene non è necessariamente la condivisione del punto di partenza, delle ideologie, degli interessi, ma piuttosto la persuasione di avere sfide comuni da affrontare. Se si concorda sul fine da raggiungere in un ambito specifico si trova il modo di essere alleati e di costruire insieme una risposta».

Infine, l’arcivescovo riflette sul fenomeno delle migrazioni invitando i politici e «coloro che hanno responsabilità ad affrontare con fiducia il fattore migrazioni per elaborare pensieri e non solo emozioni e paure, per propiziare l'incontro tra persone che, conoscendosi, possano stimarsi e aiutarsi, mentre temendosi possono soltanto evitarsi e respingersi».

Poi ha denunciato la risposta insufficiente dell’Europa: «Essa», sottolinea, «potrebbe avere la fierezza e la genialità di una via più sapiente e lungimirante. Le nazioni europee hanno risorse e competenze per incisive opere di pace, per promuovere sviluppo umano e alleanze internazionali, per rendere possibile il diritto di restare e il diritto di partire, e contrastare quel migrare disperato che espone a inimmaginabili sofferenze. Noi vorremmo essere cittadini di un’Europa protagonista nell’opera di pace e di sviluppo dei popoli. Perciò sentiamo il dovere di vivere anche l’appuntamento elettorale della prossima primavera con responsabile partecipazione».

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