“Sono il primo che ha scritto più libri di quanti ne abbia letti”: il delizioso aforisma n. 293 contenuto nel secondo libro di Antonio Cassano, il Fantantonio del calcio nostrano, a questo punto va ridimensionato. C’è, infatti, chi ha fatto di meglio: si tratta del 39,1% degli imprenditori e professionisti italiani, che, secondo l’indagine sulla “non lettura” commissionata dell’Aie (l’Associazione Italiana Editori), non hanno letto neanche un volume nell’ultimo anno.
La ricerca, comunicata ieri alla Fiera del libro di Francoforte, scopre impietosamente una classe dirigente “illetterata”, totalmente allergica al libro. Certo, si sa da tempo che sono gli italiani in generale a non amare la lettura. E infatti la ricerca lo conferma: il 25% dei laureati negli ultimi 12 mesi hanno fatto altro nella vita, come complessivamente il 58% dei nostri connazionali. Ma colpisce di più che a non prendere in mano neanche un romanzetto o un saggio breve siano coloro che detengono ruoli di responsabilità nel nostro Paese, perché amministratori pubblici, o manager privati, superprofessionisti o politici, a qualsiasi livello.
E non si può certo, in questo caso, tirare in ballo la crisi economica e il taglio sulle spese culturali che le famiglie sono state costrette a fare: si presume che un dirigente riesca a trovare comunque due spiccioli in tasca, sebbene si vivano anni di spending review, per acquistare un libro. Online, poi, costa quasi come un caffè. E non si può certo accampare giustificazioni del tipo: “i tanti e gravosi impegni di chi ha grandi responsabilità”, oppure “la giornata senza respiro del dirigente”. I colleghi in colletto bianco spagnoli e francesi, altrettanto affaccendati, qualche libro riescono pure a leggerlo, tra un volo in businessclass e un cda, se è vero che solo il 17% di questi non ha avuto modo di sfogliare qualcosa di cartaceo che non fosse un bilancio aziendale.
Che futuro può avere un Paese la cui classe manageriale non ha tempo né voglia di leggere? Nulla, neanche un romanzo d’evasione? Ci si chiede a buon diritto: quanto incide in tanti disastri amministrativi, tante scelte aziendali sbagliate, tante manifeste incapacità decisionali, questa scarsa propensione ad approfondire, analizzare, studiare, con un testo in mano, la questione da affrontare? Ad esser cauti, non poco.
E intendiamoci, non si chiede, per carità, che un amministratore delegato o un ministro debbano conoscere necessariamente il latino; certo, magari sarebbe meglio evitare citazioni-gaffe come quella di un assessore comunale che, uscendo dal municipio e vedendo che il temporale era passato, esclamò candido: “Finalmente, non plus ultra!”. Ma se l’avvocato che scrive “l’addove” o il super-manager che incita a vincere la battaglia “come la vinse Napoleone a Waterloo”, per citare un libro di Giovanni Floris, ogni tanto si prendessero la briga di sfogliare un manualino di italiano o di storia, uno solo all’anno eh, non farebbe così male. Non si pretende che diventino di punto in bianco “forti” lettori, intendiamoci. Ma che leggano quel che basta per evitare almeno penose “cassanate” verbali.