In teoria non era una legge difficile, si trattava solo di istituire una nuova festa nazionale, anzi di reinserirne una che c’era già stata in passato: il 4 ottobre giorno di San Francesco patrono d’Italia che, rara avis, ha messo in Parlamento quasi tutti d’accordo.

Ma dalla letterina ai presidenti delle Camere, inviata l’8 ottobre, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella accompagnando la promulgazione, si capisce che, scritta com’è la norma, entra in rotta di collisione con quella già in vigore che dichiara il 4 ottobre solennità civile in onore dello stesso San Francesco e di Santa Caterina da Siena, costringendo i due patroni d’Italia a disputarsi una data che, per le due leggi, implica due cose diametralmente opposte, con buona pace del principio di non contraddizione: da una parte la legge appena approvata inserisce il 4 ottobre giorno di San Francesco «nell’elenco dei giorni considerati festivi a livello nazionale dai quali derivano gli effetti dell’osservanza del completo orario festivo nei luoghi di lavoro e del divieto di compiere determinati atti giuridici», dall’altro lato si limita a togliere il nome di San Francesco dall’altra legge per il resto in vigore: la 132/1958, che per lo stesso 4 ottobre prevede: «solennità civile e giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse, in onore della Santa Patrona d’Italia Santa Caterina da Siena».

Risultato: una contraddizione insanabile. «La medesima giornata del 4 ottobre», scrive Mattarella, è ora «qualificata sia festività nazionale, in onore di San Francesco d’Assisi, sia solennità civile, in onore di Santa Caterina da Siena. Con due diverse disposizioni normative si prevede che, con riferimento ai due Santi, vengano celebrati sostanzialmente i medesimi valori, nello stesso giorno ma con un diverso regime. In entrambi i casi è previsto, in particolare, che, nella medesima giornata del 4 ottobre, le scuole possano promuovere iniziative dedicate ai valori universali di cui ciascuno dei due Santi è ritenuto espressione», peccato che in virtù della nuova legge su San Francesco il 4 ottobre le scuole saranno chiuse.

Nel chiarire la necessità di coordinare le due leggi contraddittorie Mattarella dà anche le istruzioni del caso: «In primo luogo devo far presente che la medesima giornata – il 4 ottobre – non può essere qualificata, al contempo, sia festività nazionale sia solennità civile, anche perché, tra l’altro, da tali qualificazioni il nostro ordinamento fa discendere effetti diversi. Va operata, quindi, una scelta in tal senso – verosimilmente abrogando la previsione di solennità civile, meno rilevante – e, necessariamente, chiarendo se fare riferimento per la giornata festiva del 4 ottobre esclusivamente a San Francesco ovvero anche a Santa Caterina, fino ad oggi considerati congiuntamente». Per poi chiedere di coordinare meglio: «l’indicazione delle iniziative che le istituzioni potranno assumere e dei loro contenuti, questo in special modo nel caso in cui si intendesse stabilire date diverse per le due ricorrenze», tenuto conto che il 4 ottobre non sarà più giorno di scuola e di lavoro» e invitare «il Parlamento ad apportare al provvedimento i correttivi necessari».

Parole che suonano come una prima lezione di tecnica legislativa, un Abc che gli uffici legislativi delle due Camere dovrebbero padroneggiare a menadito, mentre non è la prima volta che il Presidente si vede costretto a muovere rilievi che non mettono in questione la promulgazione perché non di natura costituzionale, ma mettono in evidenza carenza nella qualità dei testi prodotti.

La questione è particolarmente evidente nella noticina che Mattarella appone alla fine, talmente lapalissiana che starebbe bene in un prontuario di legislazione per principianti: «Non posso, infine, non sottolineare», scrive il Presidente, «l’esigenza che i testi legislativi presentino contenuti chiari e inequivoci».

Avendo voglia di scherzare con i santi, verrebbe da pensare che chi legifera così abbia preso troppo alla lettera l’evangelico Non sappia la tua mano destra…

Molto seriamente, la questione è tutt’altro che futile: in un Paese caratterizzato da troppe leggi, sovente in contraddizione tra loro, nuove leggi ulteriormente contraddittorie e poco chiare significano enormi difficoltà interpretative, più confusione in chi vi deve obbedire e in chi le deve applicare, disorientamento nella cittadinanza. In definitiva una burocrazia più farraginosa, un diritto più incerto, un Paese meno trasparente e meno giusto. Oltreché tanto tempo perso negli uffici di ogni ordine e grado, non dovendo dimenticare che il tempo, calcolato in ore di lavoro, è denaro.

Finché si tratta solo di una leggina su una festa nazionale l’impatto è relativo, ma in questioni più complesse significa anche giustizia più lenta, tribunali che danno risposte opposte, più tempo impiegato dalla Cassazione a indirizzare l'uniforme interpretazione della legge.

Si potrebbe pensare che sia una fortuna che Sergio Mattarella nella vita precedente abbia fatto di mestiere il professore universitario di Diritto Parlamentare e non il farmacista o l’ordinario di fisica teorica. Anche perché la Costituzione non prevede che il presidente della Repubblica sia un tecnico del diritto.