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mercoledì 22 gennaio 2025
 
Stasera in Tv
 

Sergio Castellitto racconta il "suo" padre Pio

05/05/2020  «Accettare il ruolo è stato un fatto di coscienza», dice l’attore, che già aveva interpretato don Milani. «Non volevo più fare religiosi, ma appena me l’hanno proposto ho detto di sì. Con passione». Stasera in tv su Canale 5 alle 21.21 il film in cui l'attore interpreta il santo di Pietrelcina. All'uscita del film Famiglia cristiana lo aveva intervistato

I regali della Befana scartati assieme ai figli Pietro e Maria. L’ultimo fine settimana in famiglia accanto alla moglie Margaret Mazzantini (in attesa, magari, di tornare a lavorare assieme in teatro, visto il successo di Manola, o al cinema, dopo il debutto con Libero Burro). Poi Sergio Castellitto è dovuto correre via.

Era atteso sui set allestiti a Oriolo Romano e a Nepi, nei dintorni di Viterbo, per ultimare le riprese di Padre Pio: un santo tra noi, il film-tv prodotto da Angelo Rizzoli per Mediatrade, la cui messa in onda è prevista su Canale 5 nel periodo di Pasqua. Ritardi permettendo.

Sì, perché le agitazioni sindacali che nel mese scorso hanno coinvolto macchinisti, truccatori, scenografi, attrezzisti, montatori, costumisti, parrucchieri e tecnici del suono hanno finito per sconvolgere i piani di lavoro di ben 44 troupe attualmente all’opera in Italia. Compresa quella impegnata a filmare l’attesissima biografia del frate di Pietrelcina. Il regista Carlo Carlei (quarantenne italiano che ha fatto fortuna negli Usa grazie a film come La corsa dell’innocente Fluke) girerà perciò fino al 4 febbraio. Poi il montaggio.

Ma niente cose affrettate, è la parola d’ordine imposta dal produttore Rizzoli: troppo alta la posta in gioco. E non solo per i 13 miliardi di lire di budget. Non bisogna deludere le attese di milioni di persone, futuri spettatori, certo, ma soprattutto devoti affezionati a padre Pio. E Castellitto se ne rende perfettamente conto.

«Al di là della fede cristiana e della devozione popolare», spiega l’attore, bravo già a calarsi nei panni di Fausto Coppi o di don Lorenzo Milani, «padre Pio è un personaggio immenso. Uno di quegli esemplari umani di cui oggi si avverte la mancanza. Padre Pio muove un interesse trasversale che tocca tutti, perciò non possiamo sbagliare. La storia di Francesco Forgione, aspetti folcloristici a parte, è di una modernità straordinaria proprio perché oggi, in tutto il mondo, c’è un prepotente bisogno di ritorno alla spiritualità».

Dopo mesi di riprese, dopo aver studiato il copione di Massimo De Rita e Mario Falcone riga per riga, dopo aver valutato le testimonianze, che idea si è fatto di padre Pio?

«Come tutti i profeti, era un uomo con la febbre. Posseduto dalla voglia di conoscere il senso profondo delle cose. Padre Pio viveva la fede in maniera emotiva. È stato un uomo di frontiera. Dopo aver visto la disperazione, ha detto: "Non mi muoverò più da qui, dagli ultimi!". Si è preso sulla sua carne il dolore, il peso di una scelta. Mi piace la figura di quest’uomo semplice e poverissimo che, malgrado gli ostacoli frappostigli dai pregiudizi della Chiesa di allora, fa il suo percorso spirituale e di vita. E la santità, oggi come ieri, è scomoda».

È vero che per assumere l’aspetto di padre Pio è dimagrito di otto chili e che ogni mattina, prima delle riprese, si sottopone a quasi tre ore di trucco?

«Sì, ma non è un sacrificio. Durante questa trasformazione ho modo di rilassarmi, di riflettere, di avvicinarmi all’animo del personaggio. La somiglianza fisica non è un fine, bensì un mezzo: quella che voglio portare sullo schermo non è la solita icona del beato di Pietrelcina superstar. Per gli spettatori voglio essere un frate fatto di carne, alla perenne ricerca di Dio tra dolori fisici e tormenti spirituali. Quella di Francesco Forgione è un’avventura umana straordinaria, capace di farci riflettere. Tutti».

Come si è preparato? Ha letto gli scritti di padre Pio, studiato le biografie?

«All’inizio ho letto molto. Poi però mi sono fermato perché cominciavo a sentirmi vicino a lui. Si tratta di un personaggio così alto che, secondo me, non va raccontato, ma interpretato secondo le proprie emozioni. D’altra parte, sul piano razionale non riuscirei mai a sentirmi all’altezza. L’esperienza, la bravura non bastano. Impersonando un uomo di tale levatura, un attore rischia il ridicolo. A meno che, con umiltà, non si studi in continuazione».

Che cosa l’ha spinta ad accettare una tale sfida?

«Dopo aver impersonato don Milani mi ero ripromesso di non interpretare più religiosi. Ma quando mi è stata offerta questa occasione ho accettato. Subito. Padre Pio è stato un uomo eccezionale, un predicatore d’amore e d’impegno civile senza uguali nell’èra moderna. Un credente unico. È lui il santo del Duemila. Non tirarmi indietro è stato in fondo un fatto di coscienza».

Lei, Castellitto, ha fede?

«Provo ritrosia a rispondere a questa domanda. La fede non si compra un tanto al chilo. O ce l’hai o non ce l’hai. Come raccontarla? Posso dire che non sono ateo: lotto con l’idea della fede e con l’agnosticismo».

E il suo rapporto personale con padre Pio?

«Quando lui morì, nel ’68, io avevo solo tredici anni: troppo giovane per capire. Ricordo che ne sentivo parlare spesso in casa, dalla mamma e dalle mie sorelle. Ma io ero scettico, come tutti i ragazzi a quell’età. Però mi è sempre stato familiare il volto di padre Pio: un suo ritratto non mancava mai, nelle case come nei bar. Proprio alla sua immagine è legato un episodio curioso».

Ce lo racconti...

«Ho perso mio padre poco tempo fa. E mia madre mi ha dato un santino del frate. Ho sorriso al pensiero che lei volesse proteggermi, affidarmi a una specie di padre spirituale. E pochi giorni dopo mi è stato proposto d’interpretare padre Pio... Mi è parso un segno... Ho accettato con la curiosità di capire chi fosse padre Pio».

  • Che cosa ha scoperto?

«Al di là del bailamme mediatico montato attorno a lui, quest’uomo aveva tante sfaccettature. Un luogo comune, ad esempio, il suo essere burbero e taciturno: quando voleva, sapeva essere spiritoso. La sua istintiva fede affondava le radici nella religiosità della gente del Sud. Pure io vengo dal Sud».

Lei non è nato a Roma?

«Sì, ma la mia famiglia è di origini meridionali. Questo ritorno alle radici lo sento dentro. Anche Carlei, pur vivendo a Los Angeles, viene dal Sud. Forse per questo è un regista dalla sensibilità così speciale. Stiamo facendo un film bellissimo, perfino superiore alle attese».

La chiave narrativa, per accompagnare lo spettatore alla scoperta delle immagini più significative del beato di Pietrelcina, è quella del racconto in prima persona. Il film si apre infatti sul suo ultimo giorno di vita. Al capezzale il Visitatore, un cardinale (interpretato da Jurgen Prochnow) inviato apposta da Roma per confutare fino alla fine la "santità" di padre Pio. Con lui il frate, con la semplicità e la sincerità dei giusti, si confida. L’infanzia poverissima eppure ricca di spiritualità. La "chiamata". Il noviziato. Le tentazioni e le tante malattie. La simbiosi con il Cristo crocifisso e la scoperta della sua missione. L’opera di salvatore di anime nel convento di San Giovanni Rotondo. La fama di "santo" allargatasi a macchia d’olio, che richiama nel paese pugliese folle di pellegrini devoti, ma provoca i sospetti delle gerarchie ecclesiastiche. L’umiltà e la pazienza con cui il frate affronta ogni pregiudizio. Una vita di trincea, accanto ai bisognosi. E alla fine il Visitatore s’inchinerà.

Castellitto, che cosa pensa degli affari proliferati sulla figura di padre Pio?

«Non ero mai stato a San Giovanni Rotondo prima delle riprese fatte a novembre. Il business si vede, lavorano tutti. Per il Sud è un miracolo. Attorno a padre Pio forse si piazzarono personaggi poco puliti, ma non ho dubbi sulla sua buona fede. È vergognosa l’accusa che abbia intascato soldi».

I miracoli attribuitigli?

«Non sono in grado di giudicare. Ma di padre Pio mi piace il suo essere stato un santo con i piedi ben piantati per terra. Sa qual è stato il suo miracolo più grande? La costruzione della Casa Sollievo della sofferenza: un ospedale da 1.200 posti dotato delle migliori attrezzature. Tuttora all’avanguardia in un Sud in cui la sanità è penalizzata. E lui riuscì a ultimarlo nel ’56!».

Il film come affronta i sospetti sui suoi presunti rapporti con pie donne?

«Non è un problema. Per paradosso, se pure ci fosse qualcosa di vero, ciò lo renderebbe ancora più simpatico e umano. Io sono un povero peccatore e penso che lui avesse simpatia per chi sbaglia. Certo, detestava gli ipocriti, non i peccatori».

Come racconterete il mistero delle sue stimmate?

«Come un mistero, appunto. Nella scena in cui il frate si ritrova le mani ferite, insanguinate, lui le guarda con orrore. Ha una reazione profondamente umana: ha paura del dolore, d’essere stato scelto per qualcosa più grande di lui. Da uomo comune si dice: "Perché proprio a me?". Ma poi capisce, accetta il suo destino. Che è quello di prendere su di sé le altrui sofferenze».

Castellitto, cosa le resterà di questo personaggio?

«Spero tantissimo, ma la sua levatura è inarrivabile. Di padre Pio mi basterebbe già ereditare la pazienza».

(originariamente pubblicato su Famiglia Cristiana N. 2 - 16 gennaio 2000. Foto in alto: Ansa)

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