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domenica 15 settembre 2024
 
AI GIOVANI
 

«Val la pena aggrapparsi alla barca della Chiesa nonostante le tempeste»

03/10/2018  Papa Francesco, nel discorso di apertura del Sinodo dei vescovi, chiede e garantisce alle nuove generazioni dialogo e franchezza. «Il discernimento è un atto di fede, non uno slogan o un'invenzione di questo Pontificato», dice. E chiede di superare il clericalismo, causa di tanti mali per i quali chiede perdono. Proprio per dar spazio all'ascolto, ogni cinque interventi ci siano tre minuti di silenzio.

Un'immagine della seduta inaugurale del Sinodo dei vescovi sui giovani. Tutte le foto di questo servizio sono dell'agenzia Reuters.
Un'immagine della seduta inaugurale del Sinodo dei vescovi sui giovani. Tutte le foto di questo servizio sono dell'agenzia Reuters.

Papa Francesco apre il Sinodo sui giovani chiedendo un impegno per «cercare di “frequentare il futuro”» e per «far uscire da questo Sinodo non solo un documento – che generalmente viene letto da pochi e criticato da molti –, ma soprattutto propositi pastorali concreti, in grado di realizzare il compito del Sinodo stesso, ossia quello di far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani, e ispiri ai giovani – a tutti i giovani, nessuno escluso – la visione di un futuro ricolmo della gioia del Vangelo».

Chiede dialogo sincero, Bergoglio, e capacità di ascolto. Anzi dà anche un metodo preciso: che ogni cinque interventi si faccia una pausa di circa tre minuti per far risuonare dentro di sé la parola dell’altro. E mette in guardia da due tentazioni: quella del clericalismo e quella dell’autoreferenzialità. «Occorre quindi, da una parte, superare con decisione la piaga del clericalism», dice Francesco, «Infatti, l’ascolto e l’uscita dagli stereotipi sono anche un potente antidoto contro il rischio del clericalismo, a cui un’assemblea come questa è inevitabilmente esposta, al di là delle intenzioni di ciascuno di noi. Esso nasce da una visione elitaria ed escludente della vocazione, che interpreta il ministero ricevuto come un potere da esercitare piuttosto che come un servizio gratuito e generoso da offrire; e ciò conduce a ritenere di appartenere a un gruppo che possiede tutte le risposte e non ha più bisogno di ascoltare e di imparare nulla. O fa finta di ascoltare. Il clericalismo è una perversione ed è radice di tanti mali nella Chiesa: di essi dobbiamo chiedere umilmente perdono e soprattutto creare le condizioni perché non si ripetano». D’altro canto, però, occorre «curare il virus dell’autosufficienza e delle affrettate conclusioni di molti giovani. Dice un proverbio egiziano: “Se nella tua casa non c’è l’anziano, procuralo, compralo, perché ti servirà”. Ripudiare e rigettare tutto ciò che è stato trasmesso nei secoli porta soltanto al pericoloso smarrimento che purtroppo sta minacciando la nostra umanità; porta allo stato di disillusione che ha invaso i cuori di intere generazioni. L’accumularsi delle esperienze umane, lungo la storia, è il tesoro più prezioso e affidabile che le generazioni ereditano l’una dall’altra. Senza scordare mai la rivelazione divina, che illumina e dà senso alla storia e alla nostra esistenza».

Suscita applausi e sorrisi compiaciuti quando ricorda anche la necessità del discernimento che« non è uno slogan pubblicitario, non è una tecnica organizzativa, e neppure una moda di questo pontificato, ma un atteggiamento interiore che si radica in un atto di fede». Il discernimento, spiega invece il Papa, «è il metodo e al tempo stesso l’obiettivo che ci proponiamo: esso si fonda sulla convinzione che Dio è all’opera nella storia del mondo, negli eventi della vita, nelle persone che incontro e che mi parlano. Per questo siamo chiamati a metterci in ascolto di ciò che lo Spirito ci suggerisce, con modalità e in direzioni spesso imprevedibili».

Chiede franchezza e libertà e suggerisce di usare i discorsi già preparati come bozza, pronti «a eventuali integrazioni e modifiche che il cammino sinodale potrebbe suggerire a ciascuno. Sentiamoci liberi di accogliere e comprendere gli altri e quindi di cambiare le nostre convinzioni e posizioni: è segno di grande maturità umana e spirituale».

Non sottovaluta i giovani, anzi li ringrazia per «aver voluto scommettere che vale la pena di sentirsi parte della Chiesa o di entrare in dialogo con essa; vale la pena di avere la Chiesa come madre, come maestra, come casa, come famiglia, capace, nonostante le debolezze umane e le difficoltà, di brillare e trasmettere l’intramontabile messaggio di Cristo; vale la pena di aggrapparsi alla barca della Chiesa che, pur attraverso le tempeste impietose del mondo, continua a offrire a tutti rifugio e ospitalità; vale la pena di metterci in ascolto gli uni degli altri; vale la pena di nuotare controcorrente e di  legarsi ai valori alti: la famiglia, la fedeltà, l’amore, la fede, il sacrificio, il servizio, la vita eterna» e chiede agli adulti di «superare la tentazione di sottovalutare le capacità dei giovani e di giudicarli negativamente». Suscita ilarità quando racconta di aver letto «che la prima menzione di questo fatto risale al 3000 a.C. ed è stata trovata su un vaso di argilla dell’antica Babilonia, dove c’è scritto che la gioventù è immorale e che i giovani non sono in grado di salvare la cultura del popolo».

E se agli adulti chiede di superare questa «vecchia tradizione di noi vecchi», ai giovani chiede di vincere la tentazione di «non prestare ascolto agli adulti e di considerare gli anziani “roba antica, passata e noiosa”, dimenticando che è stolto voler ricominciare sempre da zero come se la vita iniziasse solo con ciascuno di loro. In realtà, gli anziani, nonostante la loro fragilità fisica, rimangono sempre la memoria della nostra umanità, le radici della nostra società, il “polso” della nostra civiltà. Disprezzarli, scaricarli, chiuderli in riserve isolate oppure snobbarli è indice di un cedimento alla mentalità del mondo che sta divorando le nostre case dall’interno. Trascurare il tesoro di esperienze che ogni generazione eredita e trasmette all’altra è un atto di autodistruzione».

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