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martedì 10 settembre 2024
 
ambiente
 

Slow food, finisce l'era Petrini, il presidente è un ugandese

17/07/2022  La guida all'agronomo Mukiibi. Tutela della biodiversità, sovranità e sicurezza alimentare, difesa dei beni comuni, filiera corta equa e trasparente, agricoltura sociale, dialogo interculturale al centro dei temi del congresso

Emergenza climatica, siccità e carenza idrica, effetti devastanti prodotti dalle guerre (quella in Ucraina, ma non solo): di fronte agli sconvolgimenti e alle ferite di un mondo sempre più imprevedibile, Slow Food (la rete impegnata per un cibo buono, pulito e giusto) risponde con la concretezza di sempre. L’ottavo Congresso internazionale, che si tiene in questi giorni (16, 17 luglio) a Pollenzo (Bra, Cuneo), presso l’Università di Scienze Gastronomiche, è l’occasione per fare il punto e tracciare la rotta. Ma è anche il momento per sancire un cambio generazionale. Il fondatore, Carlo Petrini, pur rimanendo un punto di riferimento, sceglie di passare il testimone. Il nuovo presidente di Slow Food (d’ora in poi, una fondazione con un direttivo internazionale) sarà il giovane agronomo ugandese Edward Mukiibi.

Al congresso partecipano delegati arrivati da tutto il mondo, in rappresentanza di una smisurata rete di attivisti, sparsi in 160 Paesi. Cile, Canada, Burkina Faso, Corea del Sud, Filippine, Cuba e naturalmente moltissimi Stati europei, dall’Italia alla Danimarca, dalla Francia alla Bulgaria: ognuno ha esperienza di una porzione di mondo, con le sue peculiarità, le biodiversità, le ricchezze umane e culturali. E tutti sono uniti da una convinzione, figlia della realtà vista, ascoltata, toccata con mano: bisogna cambiare passo. E bisogna farlo subito, perché, davvero, non c’è più tempo da perdere.

Tutela della biodiversità, sovranità e sicurezza alimentare, difesa dei beni comuni, filiera corta equa e trasparente, agricoltura sociale, dialogo interculturale: ecco alcuni dei temi su cui Slow Food lavora da decenni e che sono al centro del congresso. L’urgenza di un cambiamento radicale è condensata nelle parole del fondatore, Carlo Petrini: «La situazione è molto grave. Siamo appena all’inizio di una serie di sconquassi climatici, segni di un deterioramento irreversibile. Ma la politica planetaria, nonostante le diagnosi degli scienziati, prende decisioni flebili e poi, regolarmente, non le mantiene. Ecco perché tocca a noi, società civile, imprese, associazioni, attuare comportamenti virtuosi che contribuiscano a un cambio di contesto». «Ma come si fa a non vedere» dice ancora Petrini, «che il principale responsabile di questo disastro ambientale è il sistema alimentare? Dati alla mano, il 33% della produzione alimentare mondiale non viene utilizzata a finisce nello scarto. Come possiamo permettere che milioni di ettari di terra fertile e miliardi di litri d’acqua vengano sprecati per produrre scarto, proprio ora che sperimentiamo carenza idrica e mancanza di terreni?». «La situazione del grano che non riesce a uscire dall’Ucraina, mettendo in ginocchio Paesi interi, è la dimostrazione che in questi Paesi non è stata praticata la sovranità alimentare. Con questo termine non intendiamo affatto l’autarchia, ma semplicemente il mantenimento di presìdi alimentari che fanno parte della storia di ogni singolo Paese. Lo scambio è legittimo e in molti casi fruttuoso, ma nessuna nazione dovrebbe essere totalmente dipendente da un’altra».

Quella di Petrini, però, è tutt’altro che una geremiade sui mali presenti. Al contrario, è un invito che apre al domani. «Sono i giovani a chiederci di prendere posizione. Abbiamo iniziato un processo che si chiama transizione ecologica. Viverla nella sua pienezza significa fare in modo che i cambi di paradigma siano veri, non fasulli. Bisogna che cambi profondamente il rapporto del cibo con l’ambiente. Bisogna che cambi l’impatto ambientale, ad esempio riguardo all’uso della plastica. Bisogna che la sovranità alimentare non sia affermata solo a parole».

Di fronte a questi scenari, la rete Slow Food si pone con il metodo che da sempre la caratterizza, basato sull’armonizzazione e sulla dialettica di princìpi apparentemente opposti: «Abbiamo superato l’antagonismo tra globale e locale, tradizione e innovazione. Siamo riusciti a essere locali proprio rafforzando la nostra presenza a livello delle comunità locali» ha rivendicato il fondatore. «E abbiamo dimostrato che, a volte, la più grande innovazione consiste nel rivitalizzare la tradizione». «Intelligenza affettiva» e «austera anarchia» sono e resteranno i termini fondanti di un movimento che non si riconosce in una struttura verticista: «siamo come un organismo vegetale» afferma Petrini. «Il nostro punto di forza sta proprio nel non avere un unico cervello centrale, ma diversi centri che contribuiscono alla vitalità della pianta: le radici, la corteccia, le foglie».

E ora, sulla scorta di questi princìpi, bisogna guardare avanti e aprire una pagina nuova. Il Congresso sancisce l’insediamento di una nuova squadra internazionale. «Nessuna nostalgia, nessun amarcord» assicura Petrini. «Al contrario, vivo questo tempo con soddisfazione e curiosità. Il nostro edificio è tutt’altro che terminato, però so che le fondamenta sono solide». E alla squadra che d’ora in poi guiderà Slow Food dice: «Non abbiate paura di essere visionari». Quanto al nuovo presidente, Edward Mukiibi, «è una persona straordinaria: in un continente destinato a diventare centrale negli equilibri mondiali, lui ha lavorato per realizzare una grande intuizione: 10.000 orti, come strumento di crescita e promozione delle comunità locali».

 

 
 
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