Il bilancio finale, non ancora definitivo, è salito a 321 morti di cui 45 bambini, come ha riferito il portavoce dell'Unicef Christophe Boulierac. I feriti sono più di cinquecento. Oggi in Sri Lanka è lutto nazionale e tutto il Paese si è fermato per tre minuti alle 8.30 in ricordo delle vittime della strage di Pasqua.
Cresce l’ipotesi che gli esplosivi siano stati piazzati da una piccola fazione islamica locale, anche se nessun gruppo ha ancora rivendicato la strage in via ufficiale. La prima esplosione si è verificata nel Santuario di Sant'Antonio, la chiesa cattolica più nota dello Sri Lanka, che è anche santuario nazionale. Dopo circa 45 minuti, una seconda chiesa cattolica è stata colpita, quella di San Sebastiano a Negombo, a circa 40 chilometri di distanza dalla capitale Colombo lungo la costa occidentale. Successivamente, un’altra bomba è esplosa nella chiesa protestante di Sion a Batticaloa, sulla costa orientale. Nello stesso arco di tempo, nella capitale, sono stati colpiti tre hotel di lusso molto frequentati dagli occidentali.
Il Paese è a maggioranza buddista, spiega un report della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (ACS), i cristiani rappresentano poco più del 9 percento. Come denunciato anche nelle più recenti edizioni del Rapporto sulla Libertà religiosa di ACS, negli ultimi anni vi sono stati attacchi alle chiese da parte di gruppi fondamentalisti buddisti quali il Bodu Bala Sena e il Sinha Le.
La condanna dei patriarchi Bartolomeo e Kirill
Lunedì è arrivata la ferma condanna dei musulmani della All Ceylon Jamiyyathul Ulama (Acju). Essa si aggiunge al cordoglio di papa Francesco e dei leader mondiali.
Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo condanna «fermamente qualsiasi attacco terroristico e atto di odio, violenza e fondamentalismo, indipendentemente dalla sua fonte, e invita tutti a cooperare per costruire la coesistenza pacifica e la collaborazione attraverso il dialogo e il rispetto reciproco». Il Patriarca di Mosca Kirill ha inviato un messaggio di condoglianze al presidente della Repubblica dello Sri Lanka, Maithripala Sirisene. «Sono profondamente scioccato», scrive. «I terroristi hanno scelto come bersaglio dei loro attacchi non solo edifici residenziali e pubblici, ma anche chiese cristiane in cui moltitudini di fedeli si sono riunite per le celebrazioni pasquali. Spero che l’autorità statale e gli organismi competenti dello Sri Lanka faranno tutto il possibile perché non solo gli esecutori ma anche gli organizzatori di questi sanguinosi crimini non si sottraggano alla responsabilità delle azioni malvagie che hanno commesso».
Solidarietà al popolo dello Sri Lanka giunge anche dall’arcivescovo di Canterbury Justin Welby mentre il vescovo anglicano di Colombo, Rev Dhiloraj Canagasabey, membro del Comitato centrale del Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc), chiede un’indagine approfondita su questi incidenti al governo srilankese, per «garantire la sicurezza dei luoghi di culto e impedire a individui o gruppi di non rispettare la legge provocando atti di intimidazione o violenza contro qualsiasi comunità o gruppo». Olav Fykse Tveit, segretario generale del Wcc, scrive in una nota: «Tali atti di violenza minano la sacralità della vita umana e costituiscono un sacrilegio in molti sensi. Anche se gridiamo contro questo sacrilegio, affermiamo risolutamente che la violenza non deve generare violenza».
Il consiglio dei saggi musulmani: atti che vanno contro gli insegnamenti delle religioni
Netta condanna anche da parte dei leader religiosi islamici. Il Consiglio dei saggi musulmani, sotto la presidenza di Ahmed El-Tayeb, il Grande Imam di Al-Azhar, ha condannato “fermamente“ gli attacchi terroristici. «Vanno contro gli insegnamenti di tutte le religioni e di tutti i credi, nonché contro tutte le leggi e norme sociali internazionali», si legge in un nota in cui si sottolinea anche «l’urgente necessità di intensificare gli sforzi internazionali per contrastare tutte le forme di terrorismo». In un tweet personale, il Grande Imam di al-Azhar scrive: «Non posso immaginare che un essere umano possa prendere di mira persone innocenti nel giorno della loro celebrazione».
Di «crimini contro l’umanità» parla l’Unione delle Comunità islamiche d’Italia che ribadisce: «Nessuna causa, ideologia o credo religioso possono giustificare tale violenza e barbarie. Questi attentati sono l’ennesima conferma che il terrorismo non conosce frontiere né culture e che l’intera umanità è oggi nel mirino. Da qui la necessità di rispondere in modo corale e solidale a questo male universale che mira a destabilizzare intere nazioni e diffondere l’odio tra culture e religioni».
Gli ebrei: tolleranza zero per i terroristi
Anche il mondo ebraico esprime la sua vicinanza alle vittime e ai feriti attraverso il presidente del World Jewish Congress, Ronald S. Lauder, il quale a nome di tutti gli ebrei del mondo, chiede «tolleranza zero per coloro che usano il terrore per far avanzare i loro obiettivi». E aggiunge: «Questo barbaro assalto a fedeli che stavano celebrando uno dei giorni più sacri del cristianesimo, serva da doloroso richiamo del fatto che la guerra contro il terrorismo deve essere in cima all’agenda internazionale e perseguita senza sosta».
In Italia è la presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane Noemi Di Segni ad esprimere le condoglianze: «Quanto accaduto», si legge in una nota, «in Sri Lanka ci lascia senza parole: un’ennesima strage mossa dall’odio e compiuta volutamente in uno dei giorni più sacri della religione cristiana. Oltre alla nostra doverosa solidarietà al Paese, alle vittime di questa brutale violenza e alla comunità dei cristiani, come ebrei italiani torniamo a ribadire l’importanza per un impegno diffuso nel contrasto ad ogni forma di terrorismo e di intolleranza religiosa”. Di Segni ricorda che in questi giorni anche il mondo ebraico sta celebrando la Pesach, una festa in cui gli ebrei celebrano “la libertà e il diritto a professare liberamente la propria religione”. “Una festa – aggiunge la presidente Ucei – che ci ricorda che questa libertà non è scontata ma deve essere difesa di generazione in generazione».
Il vescovo di Chilaw: attacco inaspettato e brutale
Una delle bombe della strage di domenica ha colpito la chiesa di St. Sebastian a Katuwapitya, quartiere di Negombo. L’intero villaggio di Katuwapitya è in lacrime, scrive la corrispondente di Asia News Melani Manel Perera, «Le strade e le case sono decorate con bandiere bianche e striscioni, in segno di lutto. Qui sorge la chiesa di St. Sebastian. Di tanto in tanto rintocca la campana della chiesa per rendere omaggio a coloro che se ne sono andati. P. Sanjeewa Appuhamy, assistente parroco, racconta che coloro che “se ne sono andati” sono i “defunti che ora si trovano con il Padre celeste”».
Sempre ad Asia News padre Sanjeewa, assistente della parrocchia di Katuwapitya, racconta il momento dell’attacco: «Dopo la messa stavamo ascoltando il discorso di ringraziamento del Consiglio parrocchiale. All’improvviso abbiamo udito un grande frastuono e poi uno scoppio. Purtroppo in un secondo abbiamo perso molti parrocchiani. È una tragedia. La grande domanda è perché le persone compiono un gesto così crudele contro altre persone».
«Abbiamo assistito ad attacchi brutali, ad atti di violenza inaudita», ha detto monsignor Warnakulasuriya Devsritha Valence Mendis, vescovo di Chilaw, in una dichiarazione ad Aiuto alla Chiesa che Soffre, «un attacco totalmente inaspettato», secondo monsignor Mendis, che ha spiegato come in Sri Lanka vi siano «relazioni pacifiche tra le diverse fedi». Lo stesso santuario di Sant'Antonio, una delle tre chiese colpite, era «meta di pellegrinaggio per persone di ogni fede. Quello commesso domenica è un crimine contro l'umanità. La nostra Pasqua si è trasformata da un giorno di festa ad uno di lutto. Ma sono certo che i nostri fedeli sapranno far fronte a tanto dolore con coraggio e fede».
Il presule ha voluto lanciare, tramite ACS, un appello a tutti i cristiani del mondo. «Abbiamo bisogno delle vostre preghiere affinché la pace e l'armonia siano restaurate nel nostro Paese. Pregate per noi e per tutti i cristiani che soffrono a causa della loro fede».