«Il Signore è un abile corteggiatore». Lo ha provato su di sé suor Veronica Donatello, classe 1974, originaria di Pescara, quando nel 1999 è entrata nella congregazione delle Suore Francescane Alcantarine.
«Lavoravo, viaggiavo in continuazione, ma non frequentavo la parrocchia, finché un parroco mi ha chiesto di aiutarlo con dei ragazzi con disabilità durante un campo estivo. Lì, per caso, ho ascoltato la Parola di Dio. E tutto il mio mondo è crollato. Ho iniziato a pormi delle domande».
Oggi suor Veronica è responsabile del Servizio nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità della Conferenza episcopale italiana, nonché consultrice del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede.
Due incarichi che, di primo acchito, sembrano non c’entrare nulla l’uno con l’altro, ma hanno come matrice comune la capacità di saper comunicare con tutti, anche con chi non riesce a sentire, con chi non vede, o con chi ha una comunicazione semplificata. Un dono appreso prima in famiglia e poi attraverso lo studio.
Il linguaggio dei segni
Nonostante i genitori cattolicissimi e impegnati – papà Aldorino sul tema dei diritti, e mamma Anita in ambito pastorale –, Veronica dopo la Cresima si stacca dalla Chiesa.
«A mia sorella erano stati rifiutati i sacramenti a causa della sua disabilità. Evidentemente il parroco non era formato, ma a me è rimasto dentro un senso di grande ingiustizia», racconta.
«I miei genitori, invece, di questo rifiuto non hanno fatto un problema personale, anzi, ne hanno fatto un dono nella Chiesa. Mi dissero: non dovrà più succedere a nessuno. Ho imparato che nella vita hai due strade: o fai parte del problema e passi il tuo tempo a lamentarti, oppure diventi tu la soluzione. Loro, con grande semplicità, sono stati capaci di tramutare questa vicenda in bene. Negli anni, per fortuna molta strada è stata fatta ma, specie quando le disabilità sono complesse o sono intellettive, si fa fatica a stare davanti al limite dell’altro, perché il limite dell’altro rimanda al nostro. A volte anche nella Chiesa permane il pregiudizio di pensare che l’unico accesso alle vie della fede sia l’intelletto».
Conquistata da Francesco
Ma torniamo alla giovane Veronica che si è allontanata dalla Chiesa. Fin da bambina ha imparato a parlare la lingua dei segni italiana (oggi anche quella internazionale e quella francese), così il parroco le chiede di frequentare l’oratorio per dare una mano con i ragazzi disabili.
Dice sì di malavoglia, ha già tanti impegni. Invece, da lì inizia un cammino di fede e di discernimento, che la porta a rimanere “folgorata” dalla vita di san Francesco: «Cominciai a pensare che forse il Signore aveva qualcosa in serbo per me, e accettai di camminare con Lui, anche se all’epoca non pensavo alla vita consacrata», dice.
«Questa decisione non piacque molto né a mio fratello né ai miei parenti. Lo ritenevano un colpo di testa. Molto accoglienti sono state invece le suore che mi hanno accompagnato fin dal discernimento. Nel 2009, dopo la professione perpetua, anche la famiglia ha capito che la mia gioia era piena. Se ti fidi, il Signore non ti toglie i problemi, ma ti dona anche le benedizioni»
. A detta di chi la conosce, suor Veronica è una forza della natura, che riesce a unire le persone, a fare rete. Un minuto prima la vedi giocare a basket con i ragazzi in sedia a rotelle, un minuto dopo sta traducendo nella lingua dei segni (Lis) le parole di papa Francesco.
Dal bisogno al desiderio
«Quattro anni fa è nato il servizio per la Pastorale delle persone con disabilità di cui mi occupo. Già da trent’anni si lavora sul pregiudizio religioso, ma la novità degli ultimi anni è che si sta operando su tutti gli ambiti – pastorale, realtà abitative, affettività, scuola, lavoro, sport, aggregazione, turismo – nell’ottica di un intero progetto di vita.
Collaboriamo con tanti uffici della Cei, perché la disabilità è trasversale e nessuno può sentirsi escluso da questo impegno. E la cosa interessante è che questo percorso si fa con loro, con le persone con disabilità. Per cambiare lo sguardo, abbattere i pregiudizi, bisogna lavorare insieme, riconoscere che hanno talenti e promuoverne la partecipazione.
Perché, come dice papa Francesco, nelle nostre comunità le persone con disabilità a volte esistono ma ancora non appartengono, non partecipano. Non ci si può fermare all’approccio medico, assistenzialista e riabilitativo, perché mette in atto delle storture dove la persona disabile è pensata solo come bisognosa delle persone cosiddette “normodotate”.
Il vero paradigma è rendersi conto che le persone disabili hanno anche dei desideri, non solo dei bisogni. L’ottica del desiderio ti restituisce il tuo essere persona, è un concetto più ampio, più bello. E questo approccio crea comunità che siamo noi, come scrive il Papa nella Fratelli tutti».
L’eco dell’impegno di suor Veronica è arrivato fino al presidente Sergio Mattarella che, nel 2016, le ha conferito il titolo di Cavaliere dell’ordine al merito della Repubblica.
«Una bella emozione per me che balbetto in situazioni di tensione.Quando dalla Cei mi hanno proposto questo lavoro, stavo svenendo. Ora so che non avrei potuto fare altro. Per “motivi familiari”, la disabilità è impressa nel mio dna. Questa è la storia in cui il Signore si è rivelato a me».