Cari i amici lettori, la crudele guerra tra Israele e Hamas, scoppiata un mese fa a causa del feroce attacco a freddo dell’organizzazione terroristica palestinese a civili israeliani innocenti, continua.
E giunge a noi, tramite tg e talk show, con le voci più disparate. In questo numero di Credere vi proponiamo tre sguardi su questo insensato confl itto, che riassumerei in: tacere, riflettere, parlare. Direbbe il saggio Qohèlet che «tutto ha il suo momento».
Silenzio. Di fronte al dilagare di un male e di un odio che sembrano incontenibili, quasi mancano le parole: dobbiamo fare i conti con la nostra impotenza, con l’apparente inutilità di ogni sforzo, e imparare a guardare il mondo dal Calvario ma anche – nella fede – continuare a seminare. È la riflessione che ci propone don Alessandro Deho’ nella sua rubrica.
Di fronte al dilagare del “chiacchiericcio” mediatico, questo atteggiamento è un sano antidoto. Sguardo critico. Purtroppo stiamo assistendo, in concomitanza con questo conflitto, al risorgere dell’antisemitismo non solo in Italia ma un po’ in tutto il mondo. Slogan di piazza tanto acritici quanto semplicistici, a fronte di una realtà assai complessa, ci chiedono come cristiani di fermarci a ragionare, approfondire e guardare le cose più da vicino, prima di distribuire immediatamente torti e ragioni. Senza dimenticare le lezioni della storia. È l’invito che ci fa Monica Mondo nella sua rubrica.
Parola. Se il silenzio è un “atteggiamento” che ci aiuta a guardare le cose in modo spirituale, c’è poi anche l’urgenza di prendere la parola per difendere le ragioni della pace possibile tra due popoli: una parola che sia coraggiosa e “profetica”. Ce la dice in questo numero un personaggio d’eccezione, la cantante israeliana Noa (intervista pag. 18): ebrea di origine yemenita, ci svela il suo dolore per l’insensatezza di questa guerra che la tocca da vicino ma racconta anche il suo impegno perché il bene che c’è nella società civile, sia israeliana che palestinese, possa farsi largo anche a livello politico. Già, “pace”.
Una parola assente e che in questo momento ha il sapore dell’utopia. Non si stanca di ripeterla papa Francesco, quando – anche nella recente intervista al Tg1 – ripete che la guerra è una sconfitta per tutti e che non dobbiamo abituarci. Questo significa che l’unica vera alternativa è la difficile via della pace, impegnandoci tutti, in ogni modo, perché possa realizzarsi. Bergoglio ripete questa convinzione da anni, denunciando la “guerra mondiale a pezzi”, e poi anche più di recente, sin dall’inizio del conflitto in Ucraina.
Questa tenacia del Pontefice mi ricorda un aneddoto sull’anziano san Giovanni, l’autore del quarto Vangelo. Si racconta che, ormai vecchissimo, ripeteva sempre una sola frase: «Figliuoli, amatevi gli uni gli altri». A chi si lamentava di questo “ritornello” monotono, rispondeva: «È il comandamento del Signore, e se si compie, esso solo basta». Per fortuna c’è chi, con sguardo lungimirante, ci aiuta a guardare in Alto e a crederci.