Andrea Angheben
Il batterio, nell’organismo di una maestra elementare di Motta di Livenza (Treviso), è rimasto addormentato per ben 30 anni, prima che la donna scoprisse di avere la tubercolosi. Non solo: di 22 alunni, addirittura 21 sono risultati positivi ai controlli (di loro, 4 hanno sviluppato la malattia). È bastato questo perché, la scorsa settimana, si scatenasse il panico, fomentato poi da false notizie circolanti sui social. Cerchiamo allora di fare chiarezza su questa malattia (In Italia ogni anno vengono notificati circa 4.000 nuovi casi, il 70% dei quali rappresentati da forme polmonari, quindi contagiose) insieme con il dottor Andrea Angheben, responsabile del reparto del dipartimento di malattie infettive e tropicali dell’Irccs ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona).
Che cos'è la tbc e quali sono i numeri dei malati in Italia?
La tubercolosi è una malattia infettiva, causata dal Mycobacterium tuberculosis, detto anche bacillo di Koch, dal nome del suo scopritore. Si tratta in generale di una patologia contagiosa, in quanto nella maggioranza dei casi interessa i polmoni: il batterio, moltiplicandosi in essi, li danneggia, provocando tra l’altro la tosse con la quale il germe viene espulso nell’aria e può quindi essere nuovamente inalato da un altro soggetto. L’infezione però può colpire anche altri organi. Se non trattata, la tubercolosi può provocare gravi danni alla salute dell’individuo fino al decesso e porre in pericolo altri soggetti esposti al contatto con la persona ammalata. In base ai dati più recenti, l’Italia rientra tra i Paesi a bassa incidenza di malattia (meno di 20 nuovi casi ogni 100.000 abitanti all’anno). Dal 2012 al 2016, il numero di casi notificati è diminuito mediamente del 2% circa per anno. Fortunatamente, non sono moltissime le tubercolosi multi-resistente, ovvero situazioni in cui il bacillo non risponde agli “antibiotici” più attivi comunemente usati per questa patologia.
Come avviene il contagio?
Il contagio avviene nella quasi totalità dei casi per via aerea, ovvero la tubercolosi è una malattia a trasmissione respiratoria. Con la tosse (o anche lo starnuto o il parlare) il malato espelle delle goccioline che, nella forma chiamata “nuclei”, hanno dimensioni inferiori a 5 millesimi di millimetro e rimangono sospese a lungo nell’aria contenendo il bacillo tubercolare. Tuttavia, è necessario convivere con il soggetto ammalato numerose ore al giorno per più giorni in un luogo chiuso e non arieggiato.
Si tratta di una patologia pericolosa?
È necessario fare una distinzione tra “infezione” - cioè lo stato di acquisizione di un germe patogeno che raggiunge gli organi dell’ospite e si moltiplica in essi - e “malattia” che costituisce l’espressione clinica, ovvero la manifestazione di sintomi e segni, di un’infezione. Per quanto riguarda la tubercolosi, quando avviene il contagio, solo nel 5% dei casi l’infezione si trasforma in malattia attiva, mentre nel 95% dei casi, grazie all’intervento del sistema immunitario, la patologia rimane “addormentata” o meglio “confinata” all’interno, in genere, del polmone. Di tutte queste infezioni silenti, chiamate infezioni tubercolari latenti, solo un ulteriore 5% si trasformerà nel corso della vita in malattia. Pertanto si può affermare che solo il 10% dei soggetti con infezione si ammalerà durante la sua esistenza. Quanto alla contagiosità, solo le persone con malattia attiva (polmonare) possono trasmettere l’infezione.
Oggi la tubercolosi rappresenta ancora una delle principali cause di morte nel mondo. Nel 2017, ad esempio, 10 milioni di persone si sono ammalate di tubercolosi e 1,6 milioni sono decedute a causa della patologia (una parte erano soggetti affetti anche da AIDS). Quindi la malattia ha in sé un carattere di pericolosità, tuttavia se riconosciuta e trattata guarisce nel 95% dei casi.
Il caso dell’insegnante di Treviso: è possibile essere affetti dalla malattia senza saperlo?
Sfortunatamente, essendo la tubercolosi una malattia cronica, i sintomi e i segni di una forma attiva e contagiosa possono essere molto sfumati, in particolare all’inizio. Il soggetto ammalato può soffrire a lungo di una tosse fastidiosa e, solo dopo tempo, possono insorgere altri sintomi come la perdita di peso, la febbre o l’emissione di sangue con la tosse (che sono segni maggiormente rivelatori della malattia). È per questa ragione che l’Organizzazione Mondiale della Sanità suggerisce ai sanitari di sospettare la tubercolosi, insieme ad altre cause, laddove una persona lamenti tosse per oltre due settimane. La raccomandazione quindi è di rivolgersi al proprio medico qualora si manifesti una tosse prolungata nel tempo e in particolare se insorgono altri disturbi associati.
Quali sono i rischi per coloro che sono stati vicini alla donna?
Si devono considerare più a rischio, e perciò meritevoli di controllo medico, quelle persone che hanno condiviso per molte ore al giorno e per molti giorni lo stesso ambiente chiuso (contatti stretti), come una stanza da letto, una classe o un luogo di lavoro. Meno a rischio sono i cosiddetti contatti regolari, ovvero coloro che hanno condiviso regolarmente, ma non a lungo, gli stessi spazi chiusi. Vi sono poi i contatti occasionali che sono a rischio molto minore. L’indagine per un caso di tubercolosi bacillifera, ovvero contagiosa, implica innanzitutto il controllo dei contatti stretti, per poi passare allo studio dei contatti regolari e quindi anche occasionali se si riscontrano dei contagi. In tal modo è possibile riconoscere coloro che sono stati infettati e che necessitano di terapia se malati o di trattamento se presentano solo l’infezione. Sottolineo ancora che la malattia nella grande maggioranza dei casi non si manifesta immediatamente, ma se il soggetto infettato viene trattato subito il rischio che subentrino in futuro dei problemi viene praticamente azzerato.
Nel caso di una persona ammalata, quali sono i protocolli da seguire?
Il punto chiave è che il caso venga riconosciuto e possibilmente sia riconosciuto precocemente. I protocolli per i medici della sorveglianza sanitaria ospedaliera e distrettuale sono ben strutturati ed efficaci come dimostra la situazione epidemiologica in Italia, ma il protocollo scatta se nasce il sospetto. In tal senso è obbligatoria la notifica della malattia con necessità da parte del medico segnalatore di fornire anche molti dettagli sul caso ai servizi di salute pubblica. Certamente, un’azione di concerto tra gli operatori sanitari e i cittadini è fondamentale perché si riducano al minimo rischio e sofferenza. Quindi è importante non trascurare la presenza di sintomatologia cronica, come la tosse, soprattutto se non vi sono cause certe. È fondamentale inoltre non omettere al medico curante - magari per il timore di incorrere in esami, assenze dal lavoro o quant’altro – i sintomi che possono essere fondamentali per raggiungere la diagnosi.
Immigrati e tubercolosi: c’è correlazione?
Due terzi dei casi di tubercolosi in Italia interessa gli immigrati. In generale nei Paesi più poveri del mondo, ma anche nell’Est europeo, l’incidenza della tubercolosi è più alta di quella dell’Italia con un numero elevato di persone che ha contratto l’infezione anche in età pediatrica. Per tale ragione presentano un rischio più alto di sviluppare una tubercolosi attiva nel corso della vita, a causa dell’indigenza e della malnutrizione, di altre malattie non curate, come il diabete, o di deficit immunitario legato ad altre patologie. In Italia giungono immigrati affetti da tubercolosi attiva, ma sono comunque una eccezione, mentre è più frequente che l’immigrato sviluppi una tubercolosi attiva in conseguenza del risveglio di una infezione pregressa. Va da sé che la sorveglianza sanitaria (presente in Italia) e il raggiungimento di buone condizioni di vita e di accesso a cure mediche adeguate costituiscano dei formidabili strumenti nella lotta alla tubercolosi. Inoltre diversi studi dimostrano che la trasmissione della malattia da parte degli immigrati alla popolazione residente nel Paese di approdo sia un evento estremamente raro. Questo significa che la tubercolosi è espressione di una infezione pregressa che si risveglia e che dal un punto di vista epidemiologico la tubercolosi manifestata da un italiano non è stata trasmessa da un immigrato e viceversa.