Era il 30 aprile del 1971, quando Peppo Sacchi si presentò negli uffici del tribunale di Biella, con un incartamento pieno di documenti e carte bollate, per depositare la testata “Telebiella A21 periodico audiovisivo indipendente”. Sono passati 40 anni da quell’atto burocratico in apparenza insignificante, consumato nelle polverose stanze di un ufficio giudiziario nella periferia di una cittadina del profondo Nord. Pochi se lo ricordano, ma si trattò invece del primo passo di una svolta epocale nel nostro Paese (ma non solo) sia per quanto guarda la storia della televisione, che per l’evoluzione del costume e della cultura.
All’inizio fu “Tele Cortile”. Peppo Sacchi, affermato regista Rai con esperienze anche alla Tv Svizzera, voleva colmare una lacuna del servizio pubblico radiotelevisivo, rigorosamente “romanocentrico”, solo con qualche piccola eccezione costituita dalle produzioni a Milano e Torino. L’idea era quella di replicare le abitudini della gente di un villaggio, che nelle sere d’estate, dopo cena, si porta una sedia davanti all’uscio di casa per raccontare la propria giornata agli altri: il lavoro, una visita in città per il mercato, i figli, le preoccupazioni, quattro chiacchiere sui massimi sistemi al bar o sul treno dei pendolari. Un’idea che Sacchi aveva coltivato quando era ancora un bambino e andava a far visita ai nonni in un paese della provincia di Pavia.
Da questo spunto nacque Telebiella, la prima televisione privata italiana, quella che rompeva 50 anni di rigoroso monopolio pubblico, in precedenza minacciato, senza conseguenze, da alcuni velleitari tentativi di liberalizzazione del mercato, falliti quasi sempre prima di iniziare.
Sacchi, per la verità, insieme con altri appassionati pionieri, aveva iniziato a fare televisione locale già dalla metà degli anni Sessanta, nella cantina del negozio di sua moglie, Ivana Ramella, che fu anche la prima annunciatrice della neonata tv privata.
L’idea fu perfezionata fino alla registrazione della testata nel 1971 e, l’anno successivo, all’inizio di trasmissioni regolarmente diffuse in diretta attraverso un cavo coassiale che serviva alcuni televisori piazzati lungo le strade e le piazze del centro storico della città, nella bottega di un barbiere e che, successivamente, fu esteso allacciando anche alcuni condomini.
Si voleva sfruttare una carenza del Codice Postale, che parlava di esercizio esclusivo del monopolio pubblico della televisione via etere, senza riferimenti alle trasmissioni via cavo. Per maggior sicurezza, Sacchi armò anche la mano di un amico, il suo carrozziere, facendogli presentare una denuncia in pretura contro Telebiella, offrendo così la possibilità al pretore di Biella Giuliano Grizi di emettere una sentenza che avvalorava questo escamotage giuridico, spianando la strada. L’emittente in pochi mesi diventò un punto di riferimento per la comunità locale, con trasmissioni spesso create per strada, in mezzo alla gente. Intanto nascevano, sul suo esempio, decine di altre tv via cavo in tutta Italia, tant’è che, il 25 marzo del 1973, in un edificio del Convitto biellese, il complesso che ospitava anche la palazzina di Telebiella, si celebrò il primo convegno nazionale delle tv via cavo, che diede il via al progetto di una possibile “syndication” televisiva nata dal basso.
Telebiella era diventata ormai un fenomeno nazionale: dell’emittente di Sacchi si occupavano giornali e tv italiani e stranieri; “Sorrisi e Canzoni Tv” pubblicava i suoi programmi accanto a quelli della Rai; in occasione del Festival di Sanremo, le canzoni scartate dalla censura della tv di Stato venivano cantate nelle trasmissioni dell’emittente, dove accorrevano artisti di fama, affascinati da questa grande avventura di libertà: da Enzo Tortora a Bruno Lauzi, da Febo Conti a Cino Tortorella, fino a una giovanissima Fatma Ruffini, oggi potentissima dirigente di Mediaset.
Tele Cortile non c’era più, al suo posto era nata la televisione libera, privata, lontana dal controllo della politica. L’americana Nbc che realizzò un documentario sui “novelli pirati dell’etere”.
Fu a questo punto che il caso divenne anche politico e di Telebiella si occuparono i personaggi più importanti delle istituzioni. Il ministro delle Poste e telecomunicazioni del governo di Giulio Andreotti, Giovanni Gioia, ritenne che la piccola emittente, che nel frattempo aveva fatto proseliti in Italia e in Europa, avrebbe potuto essere un rischio grosso e il 29 marzo del 1973 varò un nuovo Codice Postale in cui l’esclusività del monopolio pubblico veniva estesa anche alle trasmissioni via cavo. Il 14 maggio Gioia intimò a Sacchi di sospendere le trasmissioni entro 10 giorni, altrimenti avrebbe fatto intervenire i funzionari dell’Escopost per sigillare gli impianti. Un atto di forza che il Governo pagò in Parlamento perdendo la fiducia di quasi tutti i gruppi politici, fatto che costrinse Andreotti alle dimissioni.
Ma intanto la macchina si era messa in moto. Sacchi, insieme con Enzo Tortora organizzò la sera del 24 maggio una diretta, “La notte dei lunghi pollici”, per trasmettere l’intervento dell’Escopost, che però non si fece vedere. Il funzionario Ulpiano Degano, accompagnato da alcuni avvocati dello Stato, si presentò negli studi di via Pajetta a Biella solo nella mattina di martedì primo giugno. Tortora non c’era e Sacchi si arrangiò con alcuni giornalisti locali e suoi collaboratori, mandando tutto in diretta fino al taglio del cavo. Un documento che ancora oggi è disponibile e che rappresenta un momento di tv verità altamente drammatico.
Sacchi, attraverso l’ avvocato Alberto Dall’Ora, campione delle battaglie civili, presentò ricorso in pretura contro la chiusura. E ancora una volta il pretore Grizi fu decisivo, proponendo eccezione di costituzionalità davanti alla Suprema Corte, che l’anno successivo, il 10 luglio 1974 liberalizzò le trasmissioni locali via cavo e, nel 1975, anche quelle via etere.
Il monopolio era finito. Iniziava una nuova storia di cui però Telebiella non fu più protagonista, risucchiata nel Far West che seguì in quegli anni. Fino alla prima regolamentazione del sistema radiotelevisivo, arrivata con la legge 223, meglio conosciuta come legge Mammì, nel 1990, quasi vent’anni dopo la nascita di Telebiella.
Si tratta di opere molto diverse tra loro. La prima “Telebiella e niente fu come prima”, edita dal Centro Documentazione Giornalistica di Roma (pagine 180, euro 16,00), scritta dal giornalista Silvano Esposito, direttore de “il Biellese” e docente al Master di giornalismo dell’Università di Torino, è un saggio di sociologia della comunicazione, attraverso il quale viene ricostruita la vicenda che diede l’avvio alla liberalizzazione del mercato radiotelevisivo in Italia e praticamente anche in Europa. La seconda “Il crepuscolo della tv”, Edizioni “Ilmiolibro.it” (pagine 186, euro 19,00), è invece stata realizzata in prima persona da Peppo Sacchi, l’ex regista della Rai, che insieme a Enzo Tortora e ad altri nomi noti dello star system televisivo dell’epoca, condusse in prima persona quella battaglia come direttore-editore di Telebiella.
Il libro di Esposito propone una minuziosa analisi, scritta però con lo stile giornalistico di un’inchiesta, della storia della prima tv privata in Italia. L’avvenimento è affrontato dal punto di vista storico, giuridico, economico e soprattutto sociologico, soffermandosi sulle rilevanti implicazioni che la televisione, nelle sue diverse evoluzioni tecnologiche, normative e di contenuto, ha avuto sulla società italiana. C’è anche un’appendice, con un’intervista allo stesso Sacchi e una a Ettore Bernabei, in cui l’ex direttore plenipotenziario della Rai fa alcune considerazioni abbastanza originali sui motivi per cui nacque proprio con Telebiella la tv privata italiana. Interessante anche la prefazione del libro, scritta dal critico televisivo de “La Stampa” Alessandra Comazzi.
Del tutto diverso, invece, il lavoro di Sacchi, che pubblica un romanzo-documento scritto sul filo della memoria ricostruendo episodi della storia di Telebiella, ma anche fatti precedenti che l’hanno resa possibile, che risalgono ai tempi in cui faceva il cinema o lavorava alla Rai o alla Televisione Svizzera. Il cuore del libro sta in due passi particolari. La descrizione della mission di “Telecortile”, come lui chiamava la sua emittente, che viene fatta risalire ai ricordi d’infanzia nella campagna pavese, in cui la gente, d’estate, si metteva fuori dall’uscio di casa con una sedia e si scambiava racconti e notizie della propri giornata (la chiamavano appunto “radio cortile”). L’altro momento fondamentale della narrazione è invece la cronaca, minuto per minuto, delle tre ore che trascorsero la mattina del 3 giugno 1973, nel tragitto da casa agli studi di Telebiella, quando arrivarono i funzionari dell’Escopost per sigillare gli impianti della tv libera, che poi, l’anno successivo, ottenne il via libera da una sentenza della Corte Costituzionale.